Parchi e campi da gioco
nei borghi dei giuliano-dalmati
IL PERSONAGGIO
Si chiama Giorgio Rossi, è Assessore all’Area Territorio
e Patrimonio del Comune di Trieste, impegnato,
tra la miriade di altre incombenze, a portare avanti
progetti di riqualificazione urbana di alcune zone
della città in cui abitano moltissimi giuliano-dalmati.
Alcuni sono proprio quartieri
nati per dare sistemazione decorosa
e definitiva ai profughi
costretti per anni nei campi di
Trieste e circondario: Borgo S.
Nazario, Opicina, Borgo San
Sergio, zona Baiamonti.
“Abbiamo elevato il tetto delle
risorse previste per la riqualificazione
dell’arredo urbano – afferma
Giorgio Rossi -. Oggi si
tratta di tre milioni di Euro rispetto
al milione della Giunta
precedente. Sono stati approvati
dei progetti ed ora bisognerà
passare, nel giro di due anni, alla
fase operativa.
Gli interventi riguarderanno la
Strada Vicentina, la cosiddetta
Napoleonica, il giardino di Borgo
S. Nazario che verrà adattato in modo da poter
ospitare tutte le manifestazioni che vi si svolgono,
poi ancora Borgo San Sergio con la risistemazione
delle zone verdi, il verde sintetico per il campo di
Chiarbola, vicino al quale verrà attrezzato un parco
giochi. Poi parcheggi ed altre strutture che dovrebbero
elevare le condizioni di vita della popolazione”.
Lei, da bambino, dove giocava?
“Sulla piazza di Umago, nella via accanto alla chiesa
e sotto la loggia dove mia nonna aveva la sua pescheria”.
(Le cifre lasciano spazio alle date ed i ricordi fluiscono
senza alcuno sforzo).
“Avevo sei anni, ricordo che da un angolo della piazza
l’altoparlante trasmetteva senza sosta musiche e
proclami del regime jugoslavo. Gli anziani erano
perplessi, per tenermi lontano dalla strada mi man-
L’impegno dell’Assessore Giorgio Rossi per una migliore qualità della vita
davano in chiesa a fare il chierichetto. Mi piaceva
andare a giocare dietro la chiesa, sullo spiazzo che
arrivava a lambire il mare. L’odore del salmastro si
mescolava alle nostre grida e il rumore della risacca
copriva quello dell’altoparlante che non smetteva mai
di gracchiare. “La mia famiglia
fu la prima ad andarsene. Io e
mia madre, una mattina del ’53
raggiungemmo Trieste perché
l’atmosfera ad Umago s’era fatta
pesante ma soprattutto perché
il futuro si presentava quanto
mai incerto. Siccome mio padre
navigava sarebbe stato più
facile incontrarlo a Trieste al ritorno
dai suoi viaggi intorno al
mondo. Eravamo impauriti, la
città infatti proprio in quei giorni
era stata scossa dalla ribellione
al generale Winterton e l’ atteggiamento
della polizia civile
nei confronti della popolazione
che protestava contro il regime
di Tito. Vennero uccisi due studenti
che manifestavano per l’
Italia presso la chiesa di S. Antonio, altri giovani caddero
durante una manifestazione in P.zza dell’Unità.
Ma io ero piccolo, il mio pensiero era per Umago
dove avevo lasciato i miei compagni della prima classe
dopo una sola settimana di scuola. Ci recammo nella
sede della Croce Rossa, lì mi diedero il caffelatte e
poi ci mandarono in via Manzoni per una prima
sistemazione”.
Vi attendeva il campo profughi?
“Fummo fortunati: alcuni cugini ci offrirono ospitalità
finché non avremmo trovato una sistemazione
adeguata. Alcuni mesi dopo ci trasferimmo ma per
parecchio tempo le nostre furono case, o meglio stanze,
provvisorie. Poi, finalmente via Diaz, sempre un
unico vano ma decoroso. Lì conobbi Rosi, era una
prostituta che occupava con altre ragazze un appartamento
della casa. Divenni la loro mascotte. Mi
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mandavano a fare qualche piccola commissione in
cambio di un invito a pranzo che consisteva in un
piatto di riso al burro: una rarità in quei tempi. Nella
stessa casa poi abitavano due coniugi musicisti, la
cui cultura era pari alla loro indigenza: infinita. Persone
squisite, di grande garbo, gentilezza e dignità.
La Rosi qualche anno dopo sposò un americano e
lasciò l’Italia. Mia madre la rivide una ventina d’anni
più tardi, le aveva detto che alloggiava nella stessa
stanza di allora.
“Qualche mese dopo anche il resto dei parenti lasciò
Umago e si trasferì nel varesotto. Mio nonno,
Ottone Rossi, poeta dialettale, aveva fatto parte del
genio civile. Ho preso da lui l’amore per il mattone
e così dopo aver terminato le scuole e il servizio militare
come ufficiale di Marina, iniziai a lavorare nel
settore. E’ stata una scelta felice che mi ha dato grandi
soddisfazioni, mi ritengo una persona fortunata”.
E l’Istria?
“E’ una domanda difficile. Finché ero un ragazzo non
ho mai sofferto di nostalgia, e i miei parenti non ne
parlavano, avevamo bruciato le navi. O almeno questo
è quanto avevo inteso fare ma, ora, è diverso: il
ricordo ritorna anche se sono stato ad Umago poche
volte e, improvvisamente, mi manca”.
Nel corso degli ultimi anni sono nate diverse idee
sulla possibilità di rivitalizzare l’Istria interna anche
con il contributo del capitale italiano e con il
coinvolgimento degli esuli. Lei cosa ne pensa?
“Penso che potrei fare tante cose. Mi piace lavorare
per la comunità. E’ questo il motivo per cui ho accettato
l’incarico di assessore, fa parte della mio essere
istriano”.
Che cosa intende?
“C’è un valore di fondo che caratterizza la cultura
del nostro popolo - che è nello stesso tempo il suo
punto di forza – ed è la voglia di costruire senza
mai arrendersi. Darei volentieri il mio contributo
per portare nuova ricchezza in Istria. Intanto mi
sto impegnando a Trieste anche per gli istriani. Ci
sono molte zone che il Comune sta acquisendo in
comodato per poterle restituire alla primaria dignità.
Faccio un solo esempio: il giardino sulle rive
che circonda la statua di Nazario Sauro. La zona è
demanio marittimo ma siamo riusciti a far sì che il
Comune se ne prenda cura. Verrà trasformato, a
breve, in un giardino fiorito per un monumento
che inviti alla sosta e alla riflessione”.
Lei ha parlato di cultura di un popolo sparso.
E’ destinata a scomparire?
“Non credo. Noi non abbiamo mai avuto, come
popolo, vincoli tribali. Ci riconosciamo in unacultura civile particolare – fatta di abnegazione
verso il lavoro e la famiglia, la capacità di reagire,
la serietà dei propositi, l’impegno costante, l’onestà
-, ognuno di noi è un po’ d’Istria dovunque si
trovi. Questa è la nostra forza che non potrà esaurirsi
in tempi brevi. L’associazionismo poi, che sta
già facendo tanto, s’incaricherà di traghettare questarealtà nel futuro, coinvolgendo le giovani generazioni
o comunque creando quelle premesse
che il tempo riuscirà a far maturare.
A me è successo”. (rtg)
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