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VOLCE (SLOVENIA) 14/1/12
Dedico ad un mio amico quest'escursione, che la affronta assieme a me dopo tanto tempo di inattività e con altrettanta voglia di respirare dell'aria buona e di incamminarsi in plaghe poco visitate dagli escursionisti. Decidiamo, così, di salire una vetta, quella del Monte Auremiano/Vremscica, elevazione del Carso Montano compreso tra le località di Divaca e Pivka. Il luogo è assai panoramico, poichè l'Auremiano presenta vaste praterie sommitali spazzate da una sferzante bora (ne abbiamo la conferma anche quest'oggi!) lungo il versante S; diversamente, poi, attraversando il versante N, cammineremo a lungo tra fitte selve di cedui, faggete e pinete, dove non incontreremo più nessuno ed avremo la gioia - come piace a noi - di camminare in assoluto isolamento, godendo di un paesaggio tanto solitario quanto selvaggio, conversando, commentando e scherzando amabilmente tra noi. Senza quasi accorgercene- ma alla fine del circuito saremo stanchi - avremo percorso 20 km, forse più, perchè nel rientrare verso Volce sbaglieremo carrareccia e c'addentreremo per piste forestali solitarie, da dove udiremo, di tanto in tanto il rumore dei boscaioli e null'altro! Farà freddo , vedremo il terreno ghiacciato, indurito e le pozze d'acqua solidificata, che ci racconteranno di temperature rigide. Sarà uno spettacolo, però lo scoprire la piccola chiesa da poco restaurata (2008) posta presso la vetta, i superbi faggi sul versante N, l'osservare i prati sferzati dal gelido vento, lo scorgere il mare all'orizzonte. Rientrati, ci spingeremo sino alle poche case della frazione di Volce, perlopiù abbandonate, sino alla chiesetta del villaggio.
Era da tempo, che non camminavamo così a lungo: è stato bellissimo riscoprire queste atmosfere, a me care, del Carso Montano nel suo aspetto invernale, cosiccome il trascorrere senza fretta, assaporandone il placido scorrere, del tempo di una tersa, limpida e fredda giornata di metà Gennaio.
La sera saremo tutti riuniti attorno alla tavola imbandita di una caratteristica gostilna, pronti a commentare la giornata trascorsa lungo i pendii dell'Auremiano ed a parlare di noi tutti!
Buona gita!
Dedico ad un mio amico quest'escursione, che la affronta assieme a me dopo tanto tempo di inattività e con altrettanta voglia di respirare dell'aria buona e di incamminarsi in plaghe poco visitate dagli escursionisti. Decidiamo, così, di salire una vetta, quella del Monte Auremiano/Vremscica, elevazione del Carso Montano compreso tra le località di Divaca e Pivka. Il luogo è assai panoramico, poichè l'Auremiano presenta vaste praterie sommitali spazzate da una sferzante bora (ne abbiamo la conferma anche quest'oggi!) lungo il versante S; diversamente, poi, attraversando il versante N, cammineremo a lungo tra fitte selve di cedui, faggete e pinete, dove non incontreremo più nessuno ed avremo la gioia - come piace a noi - di camminare in assoluto isolamento, godendo di un paesaggio tanto solitario quanto selvaggio, conversando, commentando e scherzando amabilmente tra noi. Senza quasi accorgercene- ma alla fine del circuito saremo stanchi - avremo percorso 20 km, forse più, perchè nel rientrare verso Volce sbaglieremo carrareccia e c'addentreremo per piste forestali solitarie, da dove udiremo, di tanto in tanto il rumore dei boscaioli e null'altro! Farà freddo , vedremo il terreno ghiacciato, indurito e le pozze d'acqua solidificata, che ci racconteranno di temperature rigide. Sarà uno spettacolo, però lo scoprire la piccola chiesa da poco restaurata (2008) posta presso la vetta, i superbi faggi sul versante N, l'osservare i prati sferzati dal gelido vento, lo scorgere il mare all'orizzonte. Rientrati, ci spingeremo sino alle poche case della frazione di Volce, perlopiù abbandonate, sino alla chiesetta del villaggio.
Era da tempo, che non camminavamo così a lungo: è stato bellissimo riscoprire queste atmosfere, a me care, del Carso Montano nel suo aspetto invernale, cosiccome il trascorrere senza fretta, assaporandone il placido scorrere, del tempo di una tersa, limpida e fredda giornata di metà Gennaio.
La sera saremo tutti riuniti attorno alla tavola imbandita di una caratteristica gostilna, pronti a commentare la giornata trascorsa lungo i pendii dell'Auremiano ed a parlare di noi tutti!
Buona gita!
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STEINWENDERHÜTTE-ZOLLNERSEE (AUSTRIA) 29/7/12
Succede, a volte, di “sentire” la specialità di un luogo, di un itinerario e di volervici andare; poi, per le più svariate motivazioni si rimanda, ma restano nella mente quel desiderio e quella curiosità, che di tanto in tanto si rifanno vive. E', senz'altro, il caso della zona compresa tra i Monti Lodin e Cuestalta, al confine con l'Austria, dove si dispiegano suggestivi itinerari escursionistici, che attraversano le faggete, le abetaie e gli stupendi prati sommitali, punteggiati sporadicamente da vecchie casere e da un buon rifugio. Tuttavia la mia bramosia risiede in un altro elemento: è il davvero idilliaco Zollnersee, laghetto alpino d'alta quota, adagiato in una conca ed abbracciato dai prati verdissimi sui quali pascolano i buoi rispecchiandosi e da estese di rododendri.
Risaliamo da Paularo la sinuosa strada del Passo di Cason di Lanza, pervenendo a Casera Ramaz, grande costruzione rurale, da dove imbocchiamo la pista forestale che ci condurrà al Rifugio Fabiani – già Casera di Pecol di Chiaula – posto nella parte bassa di una grande conca prativa che discende dal Monte Cuestalta. Le abetaie e le faggete ci accompagneranno per questo tratto dell'itinerario, abbastanza frequentato, però, solo in questa parte. Fa decisamente caldo durante la nostra marcia, poi, giunti al bel rifugio – uno dei più accoglienti della Carnia – il vento afoso di scirocco si scontra con correnti più fredde, generando un violento temporale, che ci coglierà al Passo di Cordin, dove verremo sorpresi da una pioggia fittissima mista a grandine e da un vento sferzante, che vanificherà in pochi minuti tutte le nostre precauzioni. Provvidenziale, soprattutto per i numerosissimi fulmini generati dal nubifragio, si rivelerà la presenza di una piccola casetta in legno appena varcata la frontiera con l'Austria, dove ci ripareremo un po' precariamente, in attesa del passaggio del fortunale. Verso O uno squarcio di sereno interrompe il grigio plumbeo del cielo e lascia presagire un prossimo miglioramento del tempo. La temperatura è scesa, le montagne trasudano acqua da tutte le parti, i colori si ravvivano e, gradualmente, il sole fa nuovamente capolino. Raggiungiamo lo Steinwenderhütte (o Zollnerseehütte), bel rifugio ingentilito da begl'alberi e dall'adiacente Cappella della Pace: lì troveremo un semplice e buon ristoro e ci riscalderemo un po'. Rifocillati, usciamo dal rifugio e l'aria è tersa e serena, la visibilità è perfetta e si scorgono nettamente le cime della Valle del Gail e della Drava e, più in là, dei Tauri. C'incamminiamo lungo la Traversata Carnica, per raggiungere attraverso distese di rododendri, ruscelli, prati e vegetazione bassa il magnifico Zollnersee, il laghetto alpino che da solo vale l'escursione! Le sue placide acque fungono da perfetto specchio per le alture che formano il suo bacino, sulle quali pascolano tranquille le mucche, investite solo poche ore prima dalla furia del maltempo. E' un quadro bucolico ed idilliaco, che resta negl'occhi. Proseguiamo in quota, camminando poco sotto la cresta confinale e godendo di begli scorci sui pascoli e sui prati, sino ai piedi del Monte Lodin: qui pieghiamo e risaliamo in breve al passo sovrastante rientrando in Italia. Fantastica la visione sulla zona del Rifugio Fabiani, che abbiamo attraversato in mattinata, sulle selve e sulla zona di Paularo. Transitiamo subito sopra i ruderi della Casera Lodinut Alta, quindi attraverso prati estesi su ripidi versanti, perveniamo allo spettacolare sito ove sorge Casera Lodin Alta. Marmotte fischianti mettono in allarme la colonia del nostro passaggio. C'è gran silenzio tutto intorno. Un anziano malgaro ci saluta a Lodin Alta; ci soffermiamo con lui un po', parliamo del suo duro lavoro, di come sono cambiate le cose in 30 anni e dei pochi escursionisti che si spingono sin quassù e dei suoi 40 buoi. Procediamo alla volta di Casera Ramaz e, poco sotto, si apre davanti a noi la splendida visuale dello Zermula, del Sernio e della Creta di Aip, che si stagliano nel cielo azzurro con le loro imponenti sagome di roccia bianca illuminate dagli ultimi raggi solari. Entriamo nel bosco, fittissimo, ubertoso e fresco che ci accompagnerà sino alla fine della gita. Ci soffermeremo ripetutamente per osservare le splendide fioriture, i funghi dall'intenso profumo che si è sparso nel sottobosco, gli alberi maestosi.
A Casera Ramaz non ci sarà più nessuno, quando vi perverremo, concludendo questa fantastica giornata!
Il consueto augurio di una fantastica escursione,
Giuliano
Succede, a volte, di “sentire” la specialità di un luogo, di un itinerario e di volervici andare; poi, per le più svariate motivazioni si rimanda, ma restano nella mente quel desiderio e quella curiosità, che di tanto in tanto si rifanno vive. E', senz'altro, il caso della zona compresa tra i Monti Lodin e Cuestalta, al confine con l'Austria, dove si dispiegano suggestivi itinerari escursionistici, che attraversano le faggete, le abetaie e gli stupendi prati sommitali, punteggiati sporadicamente da vecchie casere e da un buon rifugio. Tuttavia la mia bramosia risiede in un altro elemento: è il davvero idilliaco Zollnersee, laghetto alpino d'alta quota, adagiato in una conca ed abbracciato dai prati verdissimi sui quali pascolano i buoi rispecchiandosi e da estese di rododendri.
Risaliamo da Paularo la sinuosa strada del Passo di Cason di Lanza, pervenendo a Casera Ramaz, grande costruzione rurale, da dove imbocchiamo la pista forestale che ci condurrà al Rifugio Fabiani – già Casera di Pecol di Chiaula – posto nella parte bassa di una grande conca prativa che discende dal Monte Cuestalta. Le abetaie e le faggete ci accompagneranno per questo tratto dell'itinerario, abbastanza frequentato, però, solo in questa parte. Fa decisamente caldo durante la nostra marcia, poi, giunti al bel rifugio – uno dei più accoglienti della Carnia – il vento afoso di scirocco si scontra con correnti più fredde, generando un violento temporale, che ci coglierà al Passo di Cordin, dove verremo sorpresi da una pioggia fittissima mista a grandine e da un vento sferzante, che vanificherà in pochi minuti tutte le nostre precauzioni. Provvidenziale, soprattutto per i numerosissimi fulmini generati dal nubifragio, si rivelerà la presenza di una piccola casetta in legno appena varcata la frontiera con l'Austria, dove ci ripareremo un po' precariamente, in attesa del passaggio del fortunale. Verso O uno squarcio di sereno interrompe il grigio plumbeo del cielo e lascia presagire un prossimo miglioramento del tempo. La temperatura è scesa, le montagne trasudano acqua da tutte le parti, i colori si ravvivano e, gradualmente, il sole fa nuovamente capolino. Raggiungiamo lo Steinwenderhütte (o Zollnerseehütte), bel rifugio ingentilito da begl'alberi e dall'adiacente Cappella della Pace: lì troveremo un semplice e buon ristoro e ci riscalderemo un po'. Rifocillati, usciamo dal rifugio e l'aria è tersa e serena, la visibilità è perfetta e si scorgono nettamente le cime della Valle del Gail e della Drava e, più in là, dei Tauri. C'incamminiamo lungo la Traversata Carnica, per raggiungere attraverso distese di rododendri, ruscelli, prati e vegetazione bassa il magnifico Zollnersee, il laghetto alpino che da solo vale l'escursione! Le sue placide acque fungono da perfetto specchio per le alture che formano il suo bacino, sulle quali pascolano tranquille le mucche, investite solo poche ore prima dalla furia del maltempo. E' un quadro bucolico ed idilliaco, che resta negl'occhi. Proseguiamo in quota, camminando poco sotto la cresta confinale e godendo di begli scorci sui pascoli e sui prati, sino ai piedi del Monte Lodin: qui pieghiamo e risaliamo in breve al passo sovrastante rientrando in Italia. Fantastica la visione sulla zona del Rifugio Fabiani, che abbiamo attraversato in mattinata, sulle selve e sulla zona di Paularo. Transitiamo subito sopra i ruderi della Casera Lodinut Alta, quindi attraverso prati estesi su ripidi versanti, perveniamo allo spettacolare sito ove sorge Casera Lodin Alta. Marmotte fischianti mettono in allarme la colonia del nostro passaggio. C'è gran silenzio tutto intorno. Un anziano malgaro ci saluta a Lodin Alta; ci soffermiamo con lui un po', parliamo del suo duro lavoro, di come sono cambiate le cose in 30 anni e dei pochi escursionisti che si spingono sin quassù e dei suoi 40 buoi. Procediamo alla volta di Casera Ramaz e, poco sotto, si apre davanti a noi la splendida visuale dello Zermula, del Sernio e della Creta di Aip, che si stagliano nel cielo azzurro con le loro imponenti sagome di roccia bianca illuminate dagli ultimi raggi solari. Entriamo nel bosco, fittissimo, ubertoso e fresco che ci accompagnerà sino alla fine della gita. Ci soffermeremo ripetutamente per osservare le splendide fioriture, i funghi dall'intenso profumo che si è sparso nel sottobosco, gli alberi maestosi.
A Casera Ramaz non ci sarà più nessuno, quando vi perverremo, concludendo questa fantastica giornata!
Il consueto augurio di una fantastica escursione,
Giuliano
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WIEN / VIENNA [BELVEDERE] (AUSTRIA) 31/5/08
Nessun altro posto a Vienna racchiude in sè - a mio modesto parere -, altrettanto emblematicamente come il Belvedere, le vicende che hanno caratterizzato la storia del Novecento sia di Vienna sia, più in generale, dell'Austria. Quì si respirano l'immane nostalgia, il rimpianto ed il tormento interiore (tuttora avvertibili nel carattere dei Viennesi, come mi è stato confermato da cittadini austriaci che ho incontrato sul mio passo) correlati al tramonto della fantastica e secolare stagione della Donaumonarchie, ovvero dell'Impero Asburgico, e, contestualmente, si respira il segno della rinascita di un Paese risorto, a caro prezzo, dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale.
Introdursi nel Belvedere, significa - innanzitutto - accedere ad una stupenda residenza principesca, che sorte volle ospitare l'arciduca Francesco Ferdinando, ignaro del fatto che il suo assassinio a Sarajevo (Bosnia Erzegovina) avvenuto il 28/6/1914 avrebbe rappresentato la causa ufficiale dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, ovvero dell'inizio della fine della stagione asburgica.
Oggi il Belvedere Superiore, estremamente monumentale, ospita un'esposizione artistica dedicata alle Avanguardie, in cui ben si avvertono le manifestazione d'irrequietudine, di tumulto, di preoccupazione ed, al contempo, di rinascita, che animarono lo spirito degl'artisti dell'epoca. Si cammina, però, anche nelle sale, dove nel 1955 si firmò la Costituzione dell'attuale Austria, ovvero il documento che sancì la rinascita del Paese, così come oggi lo conosciamo: fu un passo tutt'altro che indolore, poiché la nuova Austria si formò sulle ceneri di un vastissimo territorio facente parte di un impero che non esisteva più e perchè il prezzo da pagare, oltre al importantissimo ridimensionamento territoriale, fu quello della neutralità politica.
Tutto ebbe inizio tra il 1700 ed il 1723, allorquando l'architetto von Hildebrandt venne incaricato dagli Asburgo, di costruire una residenza principesca estiva alle porte della città. L'eleganza e la bellezza delle architetture è tuttora ammirabile dal suo bel parco all'italiana, che contempla la presenza di grandi vasche, statue e fontane, che esasperano l'impatto scenografico del sito. Si racconta, che il risultato finale ottenuto da von Hildebrandt costituisca il suo più autentico capolavoro architettonico!
Oggi, a calamitare un numero sempre più consistente di visitatori al Belvedere, è l'esposizione di quadri e dipinti delle Avanguardie: domina, per celebrità, l'opera di Gustav Klimt "Il Bacio".
Lo slogan "Wien ist Anders" (Vienna è un'altra cosa) anche stavolta è stato azzeccato in pieno!
Giuliano.-
P.S.: Preciso, che tutte le foto presenti nella presentazione Power Point, che allego, sono state scattate da me, come di consueto, eccetto quella relativa al quadro "Il Bacio" di Klimt, tratta da opuscolo turistico edito dall'Ufficio del Turismo.-
Nessun altro posto a Vienna racchiude in sè - a mio modesto parere -, altrettanto emblematicamente come il Belvedere, le vicende che hanno caratterizzato la storia del Novecento sia di Vienna sia, più in generale, dell'Austria. Quì si respirano l'immane nostalgia, il rimpianto ed il tormento interiore (tuttora avvertibili nel carattere dei Viennesi, come mi è stato confermato da cittadini austriaci che ho incontrato sul mio passo) correlati al tramonto della fantastica e secolare stagione della Donaumonarchie, ovvero dell'Impero Asburgico, e, contestualmente, si respira il segno della rinascita di un Paese risorto, a caro prezzo, dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale.
Introdursi nel Belvedere, significa - innanzitutto - accedere ad una stupenda residenza principesca, che sorte volle ospitare l'arciduca Francesco Ferdinando, ignaro del fatto che il suo assassinio a Sarajevo (Bosnia Erzegovina) avvenuto il 28/6/1914 avrebbe rappresentato la causa ufficiale dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, ovvero dell'inizio della fine della stagione asburgica.
Oggi il Belvedere Superiore, estremamente monumentale, ospita un'esposizione artistica dedicata alle Avanguardie, in cui ben si avvertono le manifestazione d'irrequietudine, di tumulto, di preoccupazione ed, al contempo, di rinascita, che animarono lo spirito degl'artisti dell'epoca. Si cammina, però, anche nelle sale, dove nel 1955 si firmò la Costituzione dell'attuale Austria, ovvero il documento che sancì la rinascita del Paese, così come oggi lo conosciamo: fu un passo tutt'altro che indolore, poiché la nuova Austria si formò sulle ceneri di un vastissimo territorio facente parte di un impero che non esisteva più e perchè il prezzo da pagare, oltre al importantissimo ridimensionamento territoriale, fu quello della neutralità politica.
Tutto ebbe inizio tra il 1700 ed il 1723, allorquando l'architetto von Hildebrandt venne incaricato dagli Asburgo, di costruire una residenza principesca estiva alle porte della città. L'eleganza e la bellezza delle architetture è tuttora ammirabile dal suo bel parco all'italiana, che contempla la presenza di grandi vasche, statue e fontane, che esasperano l'impatto scenografico del sito. Si racconta, che il risultato finale ottenuto da von Hildebrandt costituisca il suo più autentico capolavoro architettonico!
Oggi, a calamitare un numero sempre più consistente di visitatori al Belvedere, è l'esposizione di quadri e dipinti delle Avanguardie: domina, per celebrità, l'opera di Gustav Klimt "Il Bacio".
Lo slogan "Wien ist Anders" (Vienna è un'altra cosa) anche stavolta è stato azzeccato in pieno!
Giuliano.-
P.S.: Preciso, che tutte le foto presenti nella presentazione Power Point, che allego, sono state scattate da me, come di consueto, eccetto quella relativa al quadro "Il Bacio" di Klimt, tratta da opuscolo turistico edito dall'Ufficio del Turismo.-
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HOCHWEIßSTEINHAUS (AUSTRIA) 22/7/12
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Si vedono le montagne, che non c'è foschia, con le loro creste, con i loro ripidi pendii, con le loro vette, con la vegetazione che si dirada sino a scomparire alle quote più alte e con i ruscelli argentei che precipitano spumeggianti e rumorosi tra le pieghe del suolo. La luminosità è particolarissima: poiché in alto tira un gelido vento da N, l'aria è secca, tersa, rendendo la giornata limpida. Le nuvole corrono veloci dall'Austria e sorvolano le nostre teste, intenti a risalire la Valle di Fleons, all'estremità NO del Friuli – Venezia Giulia. Grazie al loro repentino transito, esse oscurano per brevi momenti delle porzioni della vallata e delle montagne circostanti, che, un attimo dopo, ritornano ad essere illuminate dal sole, creando mirabili giochi di chiaroscuro e donando ai boschi ed ai prati verdissimi una patina argentea.
Risaliamo da Pierabech la lunga pista forestale (verosimilmente un tracciato militare risalente alla Grande Guerra) che corre accanto al Torrente Fleons, le cui acque ed i cui giovani tributari accompagneranno la nostra magnifica marcia con il loro suggestivo fragore. Camminiamo dapprima all'ombra di una grande abetaia, che ci condurrà alla Stretta di Fleons, pittoresco restringimento della vallata omonima, ove l'acqua s'incanala in una strettissima forra, creando begli spettacoli, caratterizzati da cascate, vortici e pozze. La salita diminuisce di acclività ed il tracciato piega verso O, contornando alla base l'imponente massiccio del Monte Avanza, che appare in tutta la sua maestosità qualche tornante più avanti, quando si cammina tra i larici ed i prati che precedono Casera Fleons di Sotto. Da lì, il sentiero percorre ancora un tratto quasi in piano, tra meravigliosi esemplari di larice, tra le cui chiome s'intravede la cresta del Monte Fleons, e, quindi, inizia a risalire piacevolmente verso Casera Fleons di Sopra e Giogo Veranis (frontiera con l'Austria). Lungo la risalita si transita accanto ai ruderi di postazioni della Grande Guerra, si oltrepassano numerosi rii ricchi di purissima e freschissima acqua ed a diverse tane di marmotte, che ci fischiano e sorvegliano. Il freddo vento dall'Austria si fa sentire sempre più veemente; i prati sono sferzati dalle forti correnti. Lasciati i ricoveri di Casera Fleons di Sopra, si raggiunge agevolmente il Giogo Veranis, verde valico ove corre il confine con l'Austria. Da lassù la vista è spettacolare sull'Avanza, sulla Valle di Sissanis, sul Volaia e sul Fleons. Sul versante austriaco, invece, la vista spazia sul circo montano che domina il rialzo prativo su cui sorge la grande e rurale costruzione dell'Hochweißsteinhaus, il bel rifugio, che si scorge in basso dalla vetta. Una ripida discesa conduce al punto di ristoro, che è anche la meta della nostra camminata. Parecchi gitanti, perlopiù tedeschi, vi affluiscono da Maria Luggau, centro della Lesachtal reso celebre da un santuario, meta annualmente di un pellegrinaggio estivo, che parte da Forni Avoltri e ricalca i nostri passi sin quassù. Rocce, selle, vette e l'imbocco di una grande galleria di guerra attirano il nostro sguardo su questo idilliaco paesaggio, in cui, nonostante le altezze ragguardevoli, predomina il verde dei prati e della vegetazione. Resterà nei nostri occhi l'Hochweißsteinhaus abbracciato da distese di acetosa.
Rientriamo sui nostri passi e le sorprese non mancheranno: le stupende viste del lontano Volaia, della Valle di Sissanis e della Valle di Fleons illuminate dall'ultimo sole, che crea spettacolari chiaroscuri; il gelido vento che “pettina” i prati, che paiono distese d'acqua smeraldina; le marmotte, che si nascondono al nostro passaggio, noi che, allontanatici, aspettiamo il loro sbucare, il nostro reciproco guardarsi incuriositi, meravigliati, il loro fischiare, che più di un avvertimento al gruppo per il nostro passaggio vicino alle loro tane, sembra essere quasi un arrivederci tra queste montagne al confine con l'Austria ed il Cadore.
Rientreremo a Forni Avoltri all'imbrunire, un appena un po' stanchi e rinvigoriti nel fisico e nello spirito per la bellezza di una giornata trascorsa assieme in un contesto ambientale di eccellenza!
Giuliano
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Si vedono le montagne, che non c'è foschia, con le loro creste, con i loro ripidi pendii, con le loro vette, con la vegetazione che si dirada sino a scomparire alle quote più alte e con i ruscelli argentei che precipitano spumeggianti e rumorosi tra le pieghe del suolo. La luminosità è particolarissima: poiché in alto tira un gelido vento da N, l'aria è secca, tersa, rendendo la giornata limpida. Le nuvole corrono veloci dall'Austria e sorvolano le nostre teste, intenti a risalire la Valle di Fleons, all'estremità NO del Friuli – Venezia Giulia. Grazie al loro repentino transito, esse oscurano per brevi momenti delle porzioni della vallata e delle montagne circostanti, che, un attimo dopo, ritornano ad essere illuminate dal sole, creando mirabili giochi di chiaroscuro e donando ai boschi ed ai prati verdissimi una patina argentea.
Risaliamo da Pierabech la lunga pista forestale (verosimilmente un tracciato militare risalente alla Grande Guerra) che corre accanto al Torrente Fleons, le cui acque ed i cui giovani tributari accompagneranno la nostra magnifica marcia con il loro suggestivo fragore. Camminiamo dapprima all'ombra di una grande abetaia, che ci condurrà alla Stretta di Fleons, pittoresco restringimento della vallata omonima, ove l'acqua s'incanala in una strettissima forra, creando begli spettacoli, caratterizzati da cascate, vortici e pozze. La salita diminuisce di acclività ed il tracciato piega verso O, contornando alla base l'imponente massiccio del Monte Avanza, che appare in tutta la sua maestosità qualche tornante più avanti, quando si cammina tra i larici ed i prati che precedono Casera Fleons di Sotto. Da lì, il sentiero percorre ancora un tratto quasi in piano, tra meravigliosi esemplari di larice, tra le cui chiome s'intravede la cresta del Monte Fleons, e, quindi, inizia a risalire piacevolmente verso Casera Fleons di Sopra e Giogo Veranis (frontiera con l'Austria). Lungo la risalita si transita accanto ai ruderi di postazioni della Grande Guerra, si oltrepassano numerosi rii ricchi di purissima e freschissima acqua ed a diverse tane di marmotte, che ci fischiano e sorvegliano. Il freddo vento dall'Austria si fa sentire sempre più veemente; i prati sono sferzati dalle forti correnti. Lasciati i ricoveri di Casera Fleons di Sopra, si raggiunge agevolmente il Giogo Veranis, verde valico ove corre il confine con l'Austria. Da lassù la vista è spettacolare sull'Avanza, sulla Valle di Sissanis, sul Volaia e sul Fleons. Sul versante austriaco, invece, la vista spazia sul circo montano che domina il rialzo prativo su cui sorge la grande e rurale costruzione dell'Hochweißsteinhaus, il bel rifugio, che si scorge in basso dalla vetta. Una ripida discesa conduce al punto di ristoro, che è anche la meta della nostra camminata. Parecchi gitanti, perlopiù tedeschi, vi affluiscono da Maria Luggau, centro della Lesachtal reso celebre da un santuario, meta annualmente di un pellegrinaggio estivo, che parte da Forni Avoltri e ricalca i nostri passi sin quassù. Rocce, selle, vette e l'imbocco di una grande galleria di guerra attirano il nostro sguardo su questo idilliaco paesaggio, in cui, nonostante le altezze ragguardevoli, predomina il verde dei prati e della vegetazione. Resterà nei nostri occhi l'Hochweißsteinhaus abbracciato da distese di acetosa.
Rientriamo sui nostri passi e le sorprese non mancheranno: le stupende viste del lontano Volaia, della Valle di Sissanis e della Valle di Fleons illuminate dall'ultimo sole, che crea spettacolari chiaroscuri; il gelido vento che “pettina” i prati, che paiono distese d'acqua smeraldina; le marmotte, che si nascondono al nostro passaggio, noi che, allontanatici, aspettiamo il loro sbucare, il nostro reciproco guardarsi incuriositi, meravigliati, il loro fischiare, che più di un avvertimento al gruppo per il nostro passaggio vicino alle loro tane, sembra essere quasi un arrivederci tra queste montagne al confine con l'Austria ed il Cadore.
Rientreremo a Forni Avoltri all'imbrunire, un appena un po' stanchi e rinvigoriti nel fisico e nello spirito per la bellezza di una giornata trascorsa assieme in un contesto ambientale di eccellenza!
Giuliano
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PASSO DI PRAMOLLO (UD-AUSTRIA) 16/6/12
Accade, a volte, di dover prendere atto del fatto che la difficoltà di un percorso è troppo elevata rispetto alle proprie possibilità e ci si trova costretti, quindi, per evitare problemi maggiori, a ritornare sui propri passi ed a modificare il percorso. E' una questione d'intelligenza e di rispetto per la montagna, per non mettere a rischio sia la propria incolumità sia quella altrui. Saliamo di buon mattino al Passo di Pramollo, al confine con l'Austria, con l'intento di raggiungere la vetta del monte Cavallo di Pontebba, che, in chi mi accompagna, ha suscitato l'interesse. Raggiunta Baita Winkel, piccola e caratteristica costruzione posta in centro ad uno stupendo prato e dominata dal monte Cavallo di Pontebba e dall'incombente Creta di Pricot, risaliamo a Sella della Pridola, mediante il camminamento militare. Risalendo veniamo sorpresi dall'avanzare di un camoscio solitario, che, incurante delle asperità, passa sopra di noi. Raggiunta la sella, magnifica è la visuale sul Malvuerich, elevazione, che ho già raggiunto con bellissimo percorso qualche anno fa. Puntiamo verso il Monte Cavallo di Pontebba, percorrendo la lunga e panoramicissima cresta attraversata dalla traccia militare (resti di postazioni) immersa tra rigogliosi mughi. Essa ci porta ai piedi della Creta di Pricot, da dove si diparte l'ardita salita alla cresta sommitale. Ritorniamo sui nostri passi, data la difficoltà del percorso in relazione alle nostre possibilità, e decidiamo di “abbracciare” il monte Cavallo di Pontebba, ammirandolo da vicino, contornandone la base. Non si creda sia un cammino semplice e breve: tutt'altro! Da Baita Winkel c'inoltriamo verso Sella Madrizze (frontiera con l'Austria), risalendo le ripide pendici in parte boscate, lungo la Traversata Carnica, che in questo tratto è assai poco frequentata. Alzandosi, si godono delle spettacolari visioni sulla Torre Winkel, sul monte Cavallo di Pontebba e sulla Creta di Pricot, che ci appaiono estremamente selvagge. Le pendici del monte Madrizze sono solcate da numerosi rii ed il terreno è inzuppato d'acqua in corrispondenza di quegli stupendi prati punteggiati di luccicanti rododendri, dove la terra è impermeabile. Raggiungiamo un bivio e pieghiamo verso Sella Madrizze, incantevole valico rivolto verso la grandiosa Creta di Aip e la parte più remota del complesso sciistico di Naßfeld. Laghetti artificiali ingentiliscono il già meraviglioso ambiente colorato di verde, grigio, azzurro e marrone. Da Sella Madrizze entriamo in Austria e ci dirigiamo verso Sella di Aip (confine con l'Italia), avviandoci a percorrere quella che probabilmente è la tratta più suggestiva del nostro itinerario. Il sentiero s'inoltra in un lunghissimo canalone punteggiato di isolati larici, mughi e rododendri, tra i quali scorrono freschi rii; quindi prende quota progressivamente e, attraverso un suggestivo sentiero che passa tra grandi massi, all'ombra del gruppo del Cavallo di Pontebba dove resistono ancora macchie di neve residua, che sfioriamo. Raggiunto il culmine di un canalone, percorriamo in ambiente silenzioso, rotto solo dal rumore del fresco vento, l'ultimo tratto della risalita a Sella di Aip, che tracce ci sveleranno essere stata una strada militare, che conduceva alla piccola casermetta ubicata sulla Sella (ruderi). Giunti in cima, ci fermiamo ad ammirare lo stupendo panorama verso l'Austria, il comprensorio dello Zermula e di Cason di Lanza e la vicina Creta di Aip. Si sta bene quassù e non vorremmo più ripartire.Il nostro cammino, però, è ancora incredibilmente lungo, poiché dobbiamo ridiscendere dalla sella, attraversare tutto il comprensorio austriaco (Treßdorfer, Madritschen) e giungere a Pramollo. Gli impianti non sono invasivi, per cui, transitando per il comprensorio abbiamo modo di ammirare altri bei prati e boschi. Una marmotta dal petto bianco, bellissima, incuriosita dal nostro passaggio, vigilerà sui nostri passi! Bella è la visione sul Lago di Pramollo, circondato dai boschi e dominato dalla mole del Gartnerkofel, immerso in un irreale silenzio: vi giungiamo al tramonto, quando delle mucche pascolano sui prati retrostanti il lago e quando la luce dona un'immagine di rilassatezza, pace e suggestione di grandissimo effetto. Da Pramollo, usufruendo del bel sentiero per Baita Winkel, raggiungiamo la caserma della Guardia di Finanza, posta poco sotto il valico, concludendo questo bel circuito percorso in una giornata da sogno. Una piacevole escursione.
Giuliano
SAN GIOVANNI IN VALLE AURINA (BOLZANO) 29-30/10/11
Spingersi a ridosso del punto più settentrionale d'Italia, scoprendone le viscere - entrando nelle Miniere di Predoi - , i castelli - su tutti il severo piccolo maniero di Castel Tures - , i borghi, risalendone i pendii o, più semplicemente, passeggiando nottetempo lungo l'argine del Torrente Aurino, respirando l'aria gelida ed ascoltando il tranquillo scorrere delle acque, che all'alba, invece, bagnano campi e fondovalli imbiancate dalla brina ed illuminate dal sole solo per qualche ora al giorno. Il fine-settimana è caratterizzato da giornate limpidissime, dove i giochi di luce prodotti dal Sole e dalle sagome incombenti delle Alpi Aurine, creano quadri paesaggistici di eccezionale fascino, che solo la montagna sa donare! M'immergo completamente nell'atmosfera e nella realtà composita della Valle Aurina, facendo sì che mi rimangano impressi nella mente e negl'occhi tanto degl'inarrivabili scorci ambientali quanto delle immagini inerenti alla storia ed all'etnologia delle popolazioni di lingua tedesca, che caparbiamente hanno popolato questi solchi.
Il primo approccio, quello storico, è dato dal severo, a tratti inquietante, ma comunque elegante mole di Castel Tures, che domina il centro sociale ed amministrativo della lunga Valle Aurina: Campo Tures. Risaliamo la valle, poi, sino quasi alla sua testata, all'ombra della Vetta d'Italia, il punto più settentrionale dello Stivale. Quì entriamo nelle viscere delle montagne, visitando il complesso minerario di Predoi.
E' l'alba di una domenica di fine Ottobre, limpidissima, fredda: non so resistere al fascino ed al richiamo di scoprire il territorio del Comune di Ahrntal / Valle Aurina. M'incammino lungo il pendio del monte sovrastante il silente villaggio che mi ospita. Cammino da solo nel bosco, che a tratti si apre con fantastiche vedute sul borgo addormentato ed ancora all'ombra, dominato, invece da boschi in veste autunnale, illuminati dal primo sole del giorno, e dalle vette delle Vedrette imbiancate dalla neve: lo spettacolo è immenso e mi ripaga nel corpo e nell'animo.
Ridiscenderemo a Brunico, per visitare l'esposizione etnografica realizzata da un uomo di montagna: Reinhold Messner.
Quindi, vorremo respirare ancora un po' di quest'atmosfera alpina, soffermandoci a Misurina, dove le 3 Cime di Lavaredo si specchiano maestose nel bel lago alpino. Bisognerebbe sostare per ore, semplicemente ad osservare in silenzio ed in pace con sè stessi questi panorami incomparabili!
Ad Ampezzo, infine, una lietissima sorpresa per me: ascoltare le interessanti spiegazioni di una stimata amica sulla Geologia di una regione a me affettivamente assai cara: la Carnia.
Apprezzate con me questi angoli delle Alpi Carniche ed Aurine!
Spingersi a ridosso del punto più settentrionale d'Italia, scoprendone le viscere - entrando nelle Miniere di Predoi - , i castelli - su tutti il severo piccolo maniero di Castel Tures - , i borghi, risalendone i pendii o, più semplicemente, passeggiando nottetempo lungo l'argine del Torrente Aurino, respirando l'aria gelida ed ascoltando il tranquillo scorrere delle acque, che all'alba, invece, bagnano campi e fondovalli imbiancate dalla brina ed illuminate dal sole solo per qualche ora al giorno. Il fine-settimana è caratterizzato da giornate limpidissime, dove i giochi di luce prodotti dal Sole e dalle sagome incombenti delle Alpi Aurine, creano quadri paesaggistici di eccezionale fascino, che solo la montagna sa donare! M'immergo completamente nell'atmosfera e nella realtà composita della Valle Aurina, facendo sì che mi rimangano impressi nella mente e negl'occhi tanto degl'inarrivabili scorci ambientali quanto delle immagini inerenti alla storia ed all'etnologia delle popolazioni di lingua tedesca, che caparbiamente hanno popolato questi solchi.
Il primo approccio, quello storico, è dato dal severo, a tratti inquietante, ma comunque elegante mole di Castel Tures, che domina il centro sociale ed amministrativo della lunga Valle Aurina: Campo Tures. Risaliamo la valle, poi, sino quasi alla sua testata, all'ombra della Vetta d'Italia, il punto più settentrionale dello Stivale. Quì entriamo nelle viscere delle montagne, visitando il complesso minerario di Predoi.
E' l'alba di una domenica di fine Ottobre, limpidissima, fredda: non so resistere al fascino ed al richiamo di scoprire il territorio del Comune di Ahrntal / Valle Aurina. M'incammino lungo il pendio del monte sovrastante il silente villaggio che mi ospita. Cammino da solo nel bosco, che a tratti si apre con fantastiche vedute sul borgo addormentato ed ancora all'ombra, dominato, invece da boschi in veste autunnale, illuminati dal primo sole del giorno, e dalle vette delle Vedrette imbiancate dalla neve: lo spettacolo è immenso e mi ripaga nel corpo e nell'animo.
Ridiscenderemo a Brunico, per visitare l'esposizione etnografica realizzata da un uomo di montagna: Reinhold Messner.
Quindi, vorremo respirare ancora un po' di quest'atmosfera alpina, soffermandoci a Misurina, dove le 3 Cime di Lavaredo si specchiano maestose nel bel lago alpino. Bisognerebbe sostare per ore, semplicemente ad osservare in silenzio ed in pace con sè stessi questi panorami incomparabili!
Ad Ampezzo, infine, una lietissima sorpresa per me: ascoltare le interessanti spiegazioni di una stimata amica sulla Geologia di una regione a me affettivamente assai cara: la Carnia.
Apprezzate con me questi angoli delle Alpi Carniche ed Aurine!
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WERFEN (AUSTRIA) 19/9/10
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Un'alta roccia a strapiombo sulla valle bagnata dalla Salzach, circondata dai boschi e dalle alte vette alpine, ospita da secoli la severa fortificazione di Höhenwerfen, in un sito spettacolare e che merita senz'altro la visita. Traspare l'eleganza, la maestosità e, forse quello che più colpisce, l'equilibrio delle forme nel contesto ambientale di riferimento, a Werfen, tranquillo villaggio del Salisburghese.
ÖBB, le Ferrovie Austriache, promuovono la visita del castello grazie a degli sconti invitanti e viaggiare lungo la Ferrovia dei Tauri (Tauernbahn) è sempre emozionante per il bel paesaggio alpino che si attraversa, ricco di viadotti, tunnel, lindi borghi e, non da ultimo, lo scorrere per lunghi tratti del fiume spumeggiante accanto. Usciti dal Tauerntunnel, le vette delle montagne, appartenenti al Parco Nazionale dei Tauri, sono già lievemente imbiancate e la sorpresa è tanto gradita quanto inattesa. Fa fresco a Werfen, soffia un leggero vento ed il sole di tanto in tanto si nasconde tra le nuvole, che tendono a soffermarsi - come sempre e dovunque in montagna - sopra le alte cime sovrastanti.
Sono parecchi i visitatori del fortilizio, ove s'intrecciano storie medievali, rinascimentali, moderne e contemporanee, attratti, però, maggiormente dallo spettacolo dei falconieri, che si tiene sui ripidi prati della fortezza, piuttosto che dalla comunque rilevante valenza del monumento. E' un soffermarsi per cammini di ronda, accanto a feritoie, pozzi, spesse mura, barbarighe e torri; fantastico è il salire sulla torre più alta, ove alberga l'antica, grande e pesantissima campana e, da lassù, osservare l'azzurra Salzach, il paese sottostante, la vallata, le montagne. Pare quasi di essere un piccolo falco, che nel suo volteggiare alto nel cielo di Werfen osserva - forse meravigliato anche lui - questa plaga del Salisburghese, ottima destinazione per un'escursione da favola: come spesso accade in Austria!
Bis bald!
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Un'alta roccia a strapiombo sulla valle bagnata dalla Salzach, circondata dai boschi e dalle alte vette alpine, ospita da secoli la severa fortificazione di Höhenwerfen, in un sito spettacolare e che merita senz'altro la visita. Traspare l'eleganza, la maestosità e, forse quello che più colpisce, l'equilibrio delle forme nel contesto ambientale di riferimento, a Werfen, tranquillo villaggio del Salisburghese.
ÖBB, le Ferrovie Austriache, promuovono la visita del castello grazie a degli sconti invitanti e viaggiare lungo la Ferrovia dei Tauri (Tauernbahn) è sempre emozionante per il bel paesaggio alpino che si attraversa, ricco di viadotti, tunnel, lindi borghi e, non da ultimo, lo scorrere per lunghi tratti del fiume spumeggiante accanto. Usciti dal Tauerntunnel, le vette delle montagne, appartenenti al Parco Nazionale dei Tauri, sono già lievemente imbiancate e la sorpresa è tanto gradita quanto inattesa. Fa fresco a Werfen, soffia un leggero vento ed il sole di tanto in tanto si nasconde tra le nuvole, che tendono a soffermarsi - come sempre e dovunque in montagna - sopra le alte cime sovrastanti.
Sono parecchi i visitatori del fortilizio, ove s'intrecciano storie medievali, rinascimentali, moderne e contemporanee, attratti, però, maggiormente dallo spettacolo dei falconieri, che si tiene sui ripidi prati della fortezza, piuttosto che dalla comunque rilevante valenza del monumento. E' un soffermarsi per cammini di ronda, accanto a feritoie, pozzi, spesse mura, barbarighe e torri; fantastico è il salire sulla torre più alta, ove alberga l'antica, grande e pesantissima campana e, da lassù, osservare l'azzurra Salzach, il paese sottostante, la vallata, le montagne. Pare quasi di essere un piccolo falco, che nel suo volteggiare alto nel cielo di Werfen osserva - forse meravigliato anche lui - questa plaga del Salisburghese, ottima destinazione per un'escursione da favola: come spesso accade in Austria!
Bis bald!
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LABIN / ALBONA (CROAZIA) 7/10/07
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.E' una ferrovia abbandonata, dismessa ma molto affascinante la "protagonista" di questo piccolo reportage, che vi scrivo da una porzione sconosciuta, perché sostanzialmente non più accessibile, dell'Istria, regione della Croazia Nord-Occidentale. E' un intrecciarsi di storie di minatori - in primo luogo - e di agricoltori - poi, sulle cui teste è passata la logica dell'economia e del mercato; dei soldi e del profitto, i quali, come sempre, muovono qualunque azione umana.
Tutto inizia alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando in ambito politico si riprende a parlare di un miglioramento dei collegamenti tra la città di Rijeka / Fiume e le contrade dell'Istria. In questo contesto, il progetto di istituzione di una linea ferroviaria attraverso la Val Rasa / Vall'Arsia - zona carbonifera di rilevante valenza economica - incontra parecchi favori; essa, inoltre, rappresenterà un asse importante su cui andranno ad innestarsi altre diramazioni secondarie, volte a collegare via ferrovia le contrade ubicate nella zona occidentale della Penisola.
Le Autorità jugoslave incontrano con favore l'idea e ben presto si dà corso ai lavori di realizzazione della Ferrovia della Val Rasa /Vall'Arsia, che andava ad attraversare un'area brulla e malsana che caratterizzava, al tempo, la porzione orientale dell'Istria: staccandosi dalla linea ferroviaria per Pula / Pola in corrispondenza della stazione di Lupoglav / Lupogliano (m 369 s.l.m.), la Ferrovia dell'Arsia percorreva in quota - transitando attraverso numerosi viadotti e tunnel ed intersecando numerose vie di comunicazione secondarie - il costone carsico in direzione dell'Ucka / Monte Maggiore, del quale contornava le pendici occidentali, quindi piegava verso S e, contornando il vasto Cepic Polje / Piana d'Arsia, s'immetteva nella Valle del Fiume Rasa /Arsa, che percorreva interamente, terminando la corsa in corrispondenza del villaggio di Rasa / Arsia, a pochi metri dall'Adriatico.
Sin dall'inizio va messa in evidenza la valenza economica della nuova ferrovia, la quale riveste un'importanza esclusivamente per il traffico merci, mentre mai decollò per il traffico passeggeri, essendo le zone attraversate dalla strada ferrata pressoché disabitate.
La linea venne inaugurata il 30/12/1951 alla presenza delle Autorità della Jugoslavia; tuttavia, la linea necessitava di parecchi ulteriori interventi sia per la sua messa in sicurezza (il tracciato era interessato da numerose frane), sia per essere sfruttata a pieno regime. Il traffico merci poté circolare con regolarità dal 1/6/1952: inizialmente erano previste 2 coppie di treni per trasportare i lavoratori delle miniere e 3 convogli atti al trasporto del carbone estratto dalle viscere della terra.
I passeggeri, invece - come detto - non incontrarono mai il favore della linea ferroviaria, sia perché essa era molto lenta, sia perché transitava parecchio lontano dai borghi e dai villaggi più prossimi. Le carrozze passeggeri iniziarono a circolare appena il 29/11/1959: durante l'intero 1966 - anno della soppressione definitiva del servizio passeggeri - vennero trasportati appena 3600 utenti.
La linea ebbe una vita breve e sfortunata: i traffici passeggeri non decollarono mai e furono - come detto poc'anzi - rapidamente soppressi.
Il traffico merci era incentrato sul trasporto del carbone: il bacino della Val Rasa / Vall'Arsia era stimato disporre di circa 30.000.000 t di scorte di carbone nero, mediante il trasporto del quale si voleva rifornire l'intera Jugoslavia e di destinarne una percentuale all'esportazione. La movimentazione del carbone resse sino al 1969, quando le quantità trasportate decrebbero assai sensibilmente e la ferrovia attraversò un periodo di decadenza. Un risollevamento in tal senso lo si ebbe appena nel 1979, quando la linea venne utilizzata anche per il trasporto di legname e bestiame da e per il porto di Brsec /Bersezio e di cemento per lo stabilimento di Koromacno / Valmazzinghi, sul mare.
Il 1990 registrò il trasporto di 300.000 t di merci attraverso la Ferrovia della Val Rasa / Vall'Arsia.
Regole e logiche economiche ed eventi politici ne determinarono il declino e la linea venne conseguentemente soppressa. Il carbone oggi non si estrae più, essendo stato soppiantato da altre materie per la produzione energetica, cosiccome scomparso è il trasporto del legname e del bestiame, voci, forse, di un'economia d'altri tempi, mentre il cemento viene trasportato più velocemente con i camion.
Nei pressi della stazione di Rasa /Arsia parte una strada che sale a Labin / Albona, meritevole di una visita.
Buon viaggio!
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.E' una ferrovia abbandonata, dismessa ma molto affascinante la "protagonista" di questo piccolo reportage, che vi scrivo da una porzione sconosciuta, perché sostanzialmente non più accessibile, dell'Istria, regione della Croazia Nord-Occidentale. E' un intrecciarsi di storie di minatori - in primo luogo - e di agricoltori - poi, sulle cui teste è passata la logica dell'economia e del mercato; dei soldi e del profitto, i quali, come sempre, muovono qualunque azione umana.
Tutto inizia alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando in ambito politico si riprende a parlare di un miglioramento dei collegamenti tra la città di Rijeka / Fiume e le contrade dell'Istria. In questo contesto, il progetto di istituzione di una linea ferroviaria attraverso la Val Rasa / Vall'Arsia - zona carbonifera di rilevante valenza economica - incontra parecchi favori; essa, inoltre, rappresenterà un asse importante su cui andranno ad innestarsi altre diramazioni secondarie, volte a collegare via ferrovia le contrade ubicate nella zona occidentale della Penisola.
Le Autorità jugoslave incontrano con favore l'idea e ben presto si dà corso ai lavori di realizzazione della Ferrovia della Val Rasa /Vall'Arsia, che andava ad attraversare un'area brulla e malsana che caratterizzava, al tempo, la porzione orientale dell'Istria: staccandosi dalla linea ferroviaria per Pula / Pola in corrispondenza della stazione di Lupoglav / Lupogliano (m 369 s.l.m.), la Ferrovia dell'Arsia percorreva in quota - transitando attraverso numerosi viadotti e tunnel ed intersecando numerose vie di comunicazione secondarie - il costone carsico in direzione dell'Ucka / Monte Maggiore, del quale contornava le pendici occidentali, quindi piegava verso S e, contornando il vasto Cepic Polje / Piana d'Arsia, s'immetteva nella Valle del Fiume Rasa /Arsa, che percorreva interamente, terminando la corsa in corrispondenza del villaggio di Rasa / Arsia, a pochi metri dall'Adriatico.
Sin dall'inizio va messa in evidenza la valenza economica della nuova ferrovia, la quale riveste un'importanza esclusivamente per il traffico merci, mentre mai decollò per il traffico passeggeri, essendo le zone attraversate dalla strada ferrata pressoché disabitate.
La linea venne inaugurata il 30/12/1951 alla presenza delle Autorità della Jugoslavia; tuttavia, la linea necessitava di parecchi ulteriori interventi sia per la sua messa in sicurezza (il tracciato era interessato da numerose frane), sia per essere sfruttata a pieno regime. Il traffico merci poté circolare con regolarità dal 1/6/1952: inizialmente erano previste 2 coppie di treni per trasportare i lavoratori delle miniere e 3 convogli atti al trasporto del carbone estratto dalle viscere della terra.
I passeggeri, invece - come detto - non incontrarono mai il favore della linea ferroviaria, sia perché essa era molto lenta, sia perché transitava parecchio lontano dai borghi e dai villaggi più prossimi. Le carrozze passeggeri iniziarono a circolare appena il 29/11/1959: durante l'intero 1966 - anno della soppressione definitiva del servizio passeggeri - vennero trasportati appena 3600 utenti.
La linea ebbe una vita breve e sfortunata: i traffici passeggeri non decollarono mai e furono - come detto poc'anzi - rapidamente soppressi.
Il traffico merci era incentrato sul trasporto del carbone: il bacino della Val Rasa / Vall'Arsia era stimato disporre di circa 30.000.000 t di scorte di carbone nero, mediante il trasporto del quale si voleva rifornire l'intera Jugoslavia e di destinarne una percentuale all'esportazione. La movimentazione del carbone resse sino al 1969, quando le quantità trasportate decrebbero assai sensibilmente e la ferrovia attraversò un periodo di decadenza. Un risollevamento in tal senso lo si ebbe appena nel 1979, quando la linea venne utilizzata anche per il trasporto di legname e bestiame da e per il porto di Brsec /Bersezio e di cemento per lo stabilimento di Koromacno / Valmazzinghi, sul mare.
Il 1990 registrò il trasporto di 300.000 t di merci attraverso la Ferrovia della Val Rasa / Vall'Arsia.
Regole e logiche economiche ed eventi politici ne determinarono il declino e la linea venne conseguentemente soppressa. Il carbone oggi non si estrae più, essendo stato soppiantato da altre materie per la produzione energetica, cosiccome scomparso è il trasporto del legname e del bestiame, voci, forse, di un'economia d'altri tempi, mentre il cemento viene trasportato più velocemente con i camion.
Nei pressi della stazione di Rasa /Arsia parte una strada che sale a Labin / Albona, meritevole di una visita.
Buon viaggio!
PIETRATAGLIATA (UDINE) 3/6/12
La nebbia e la pioggia condizionano sensibilmente l'escursionismo: tanta, però, è la voglia di stare assieme, di visitare luoghi poco frequentati, godere della loro bellezza e della loro solitudine, che c'incamminiamo ugualmente. La zona prescelta è quella sovrastante Pietratagliata, minuscola frazione di Pontebba, e l'itinerario non avrà, volutamente, nella panoramicità il suo punto forte, bensì saranno i boschi con i loro piccoli animali, i fiori, i funghi, i prati e le vecchie malghe gli elementi di rilevo di una lunga passeggiata, durante la quale, non incontreremo nessuno e saremo da soli, abbracciati dal fresco bosco, che solo a momenti si svela al nostro sguardo, quando la nebbia – presente nel punto più elevato dell'itinerario – si alzerà. Allora lo sguardo estasiato spazierà sulle fittissime e verdissime abetaie. E' come se avessimo deciso di isolarci da tutto e da tutti, avvolti dalla nebbia, e voluto sorprenderci della bellezza dei piccoli animali del bosco, camminare sui prati verdissimi di Bieliga e stupirci delle fioriture che colorano i pochi spazi non colonizzati dalle selve, meravigliarci dei grandiosi silenzi della montagna, dei profumi del bosco e godere di gesti semplici com'è il parlare tra noi delle cose che vediamo e della nostra vita!
Risaliamo da Pietratagliata lungo l'antica strada militare, che connetteva il Canal del Ferro alla Val Dogna. La strada s'inerpica con regolari svolte sino a Casera Poccet, alta sul fondovalle ed abbracciata da un piccolo pascolo circondato da enormi abeti. Da qui iniziamo l'escursione a piedi alla volta del Ricovero Jeluz, dove ci attende un'interessante testimonianza storica: si tratta di un'antica pietra raffigurante il Leone di San Marco e rinvenuta in quest'area, dove un tempo correva la frontiera tra la Repubblica di Venezia e l'Austria. Quassù incontriamo un gruppo di giovani intenti a riparare il tetto della piccola costruzione ed a riposizionare la pietra di confine. Data la pioggia e la fitta nebbia che ci investono dopo il nostro transito al Ricovero Jeluz, decidiamo di non intraprendere il percorso anulare che ci eravamo proposti, ossia salire per il CAI 601 al valico presso il Monte Schenone e scendere a Bieliga, bensì di raggiungere l'incantevole pendio prativo ove sorge Casera Bieliga seguendo sempre la vecchia strada militare, in modo tale da evitare le insidie del percorso ad alta quota. Belle radici, stupende fioriture ed altrettanto suggestivi alberi ci accompagnano sino alla grande radura di Casera San Leopoldo, abbandonata e diroccata, ma suggestiva nel suo insieme. Scendiamo verso l'insellatura di Bieliga, camminando attraverso stupende radure verdissime, silenziose, in cui crescono fitte abetaie dalle quali sembrano dover sbucare da un momento all'altro delle feroci fiere, che lì vi trovano sicuro rifugio. Improvvisamente il bosco lascia spazio ad una vasta prateria dove fioriscono le genziane, le orchidee ed altri bei fiorellini e sulla quale sorge la bellissima costruzione di Sella Bieliga, rivolta verso il ripidissimo versante che scende verso la Val Dogna.
Rientriamo a Casera Poccet, dopo esserci soffermati a guardare le grandi lumache, che avevamo visto la mattina. Ne hanno fatta di strada anche loro e decidiamo di dar loro una piccola ricompensa: la ragazza si china su di loro, porgendo un piccolo pezzetto di cioccolata: la lumaca, dapprima incuriosita e timorosa, vi si avvicina e, con nostro stupore, dimostrerà di apprezzare il nostro pensiero, che le abbiamo rivolto!
Scendiamo a Pietratagliata e da lì a San Leopoldo. Un'ulteriore camminata sulla ciclovia sino a Santa Caterina concluderà l'escursione, non prima di aver fatto una gustosissima e succulenta sosta culinaria.
Sono state la semplicità di gesti e di cose, unitamente all'elevata valenza paesaggistica ed ambientale del luogo, ad averci fatto ritornare a valle più sereni, appagati e contenti di aver vissuto una giornata secondo ritmi purtroppo desueti al vivere contemporaneo!
Buona camminata a tutti
Giuliano
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FAGAGNA (UDINE) 3/10/10
Fagagna è un abitato posto a NO di Udine, lungo l'antica Via del Sale, importante arteria attraverso la quale si commercializzava il famoso prodotto tra il Salisburghese ed il Mare Adriatico. Questo è il punto d'incontro tra la pianura friulana e le prime elevazioni collinari. Accade, così, che ci s'imbatta in antiche dimore e suggestivi castelli, che raccontano - a diverso titolo - le traversie e le vicissitudini di queste terre e delle genti che vi hanno abitato.
In una zona di risorgiva, alle porte di Fagagna, si trova, circondata dai campi e dalle coltivazioni, una suggestiva ed antica dimora storica: la Casaforte "La Brunelde". Racconti e storie di antichi proprietari svelano i caratteri dell'antica dimora.
Poco distante dal Capoluogo, si trova Villalta, il cui castello è intriso di storia ed architettura medievali. Nel piccolo cortile interno al fortilizio dei falconieri esibiscono con gioia i loro esemplari volatili.
Grazie alla manifestazione "Castelli Aperti", che si tiene 2 volte all'anno, è possibile visitare manieri e dimore storiche del Friuli-Venezia Giulia.
Fagagna è un abitato posto a NO di Udine, lungo l'antica Via del Sale, importante arteria attraverso la quale si commercializzava il famoso prodotto tra il Salisburghese ed il Mare Adriatico. Questo è il punto d'incontro tra la pianura friulana e le prime elevazioni collinari. Accade, così, che ci s'imbatta in antiche dimore e suggestivi castelli, che raccontano - a diverso titolo - le traversie e le vicissitudini di queste terre e delle genti che vi hanno abitato.
In una zona di risorgiva, alle porte di Fagagna, si trova, circondata dai campi e dalle coltivazioni, una suggestiva ed antica dimora storica: la Casaforte "La Brunelde". Racconti e storie di antichi proprietari svelano i caratteri dell'antica dimora.
Poco distante dal Capoluogo, si trova Villalta, il cui castello è intriso di storia ed architettura medievali. Nel piccolo cortile interno al fortilizio dei falconieri esibiscono con gioia i loro esemplari volatili.
Grazie alla manifestazione "Castelli Aperti", che si tiene 2 volte all'anno, è possibile visitare manieri e dimore storiche del Friuli-Venezia Giulia.
Buona visita!
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GRAČIŠČE (SLOVENIA) 1/4/12
E' la Domenica delle Palme la giornata che c'incamminiamo lungo i colli della Slovenia SO: la mattina presto non s'incontra nessuno per strada, i paesi sono deserti ed una gelida ed insistente Bora sembra farci rivivere ancora la stagione invernale appena lasciata alle spalle. Il cielo è terso e la visibilità è grandiosa. Partiamo da Prebenico, ultimo paese dell'Italia, sottostante il Castello di Socerb / San Servolo, alto sulla Valle del Rio Ospo, zone che mi hanno già visto percorrere i sentieri antichi che attraversano zone di arenaria, come lascia tradire l'edificato (v. e.mail precedenti). Varchiamo immediatamente la frontiera e con un tratturo scendiamo ripidamente ad Osp, camminando nella pineta. Raggiunto il villaggio, ci soffermiamo presso una caratteristica casa di un contadino locale, che ci racconta della sua produzione di olio, di vino e, dimostrando grande ospitalità, ci fa entrare nella sua cantina, dove albergano invitanti prosciutti, salami, pancette e speck. Riprendiamo il cammino, investiti dalle forti raffiche di vento e, con una carrareccia, ci accostiamo al grande salto roccioso che domina il paese, ai piedi del quale, in piano, ci sono degli suggestivi uliveti. A Gabrovica ci aspetta un'antica cisterna d'acqua e, poco sopra, la piccola chiesa, sovrastata dall'imponente viadotto autostradale. Ci stiamo lasciando alle spalle la Valle dell'Osp / Ospo e ci dirigiamo, gradualmente, verso un altro sistema collinare, assai isolato e silente, oltre il quale si dispiega la Valle del Rizana / Risano. In questo tratto abbiamo modo di toccare 2 ameni borghi, dove raccolgo le impressioni più vive ed autentiche di quest'escursione: infatti, a Stepani, un pugno di case raccolte attorno ad un'altura, c'imbattiamo in una grande stalla, all'interno della quale gli armenti sono intenti a nutrirsi e dove grazie a loro la temperatura è decisamente mite, e ci soffermiamo in corrispondenza di alcune vecchie case in arenaria parzialmente dirute, da dove si scorgono le antiche strutture portanti. Sono immagini di una realtà autentica, viva, in parte passata, tanto lontana dalla frenesia della quotidianità. Poco dopo tocchiamo la cima dell'altura dove si trova la chiesa di Rozar, alta sulla Valle del Rizana / Risano: il panorama è davvero suggestivo sulle frazioni di fondovalle e, più in là, sui colli dell'Istria slovena. Scendiamo a Rizana, dove incontriamo una simpatica famiglia di agricoltori: bastano un saluto, qualche parola e subito veniamo invitati all'interno della loro cantina, a bere un bicchiere, a riscaldarci un po' e ad assaggiare un saporito salame. Oltrepassiamo il fiume su di un ponte ed iniziamo la risalita lungo il versante opposto, seguendo una carrareccia, dalla quale begli sono gli scorci sulla zona appena attraversata e, più in là, sul ciglione. Più in su la carrareccia si esaurisce in un bosco ceduo, che si risale liberamente, toccando presto il sentiero segnato che raggiunge dapprima una sella e, quindi, una collina che separa la Valle del Rizana / Risano dall'altopiano digradante verso la Croazia. Suggestive ed inusuali sono le prospettive panoramiche verso l'Italia. Raggiungiamo Kubed, bel paese, alto sull'altopiano, e sito lungo la via per la Croazia, caratterizzato da un interessante sistema fortificato, che si rifà ai tabor, tipiche espressioni difensive delle genti del Carso.L'ultimo sforzo ci permette di risalire il Monte Lacna, che ho già toccato nel corso di una precedente e differente escursione. Lungo il sentiero, che si snoda attraverso una folta pineta, sono evidenti le tracce lasciate dai cinghiali, intenti a scovare radici. In cima la torre panoramica in acciaio consente di elevarsi al di sopra della pineta e godere dell'immenso panorama sulla zona carsica della Slovenia meridionale. All'orizzonte, invece, si scorgono da un lato il Mar Adriatico e dall'altro le colline della Croazia. Incontriamo una famiglia slovena con la quale c'intratteniamo a lungo, discorrendo (in inglese) del prossimo ingresso della Croazia nell'UE e di quali cambiamenti attenderanno queste genti e di altri stimoli escursionistici siti nei dintorni. Scendiamo in breve a Gradisce, la nostra destinazione, e ci rifocilliamo con dell'ottima gastronomia in un bel locale, che ci vedrà ancora loro ospiti.
Giuliano
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E' la Domenica delle Palme la giornata che c'incamminiamo lungo i colli della Slovenia SO: la mattina presto non s'incontra nessuno per strada, i paesi sono deserti ed una gelida ed insistente Bora sembra farci rivivere ancora la stagione invernale appena lasciata alle spalle. Il cielo è terso e la visibilità è grandiosa. Partiamo da Prebenico, ultimo paese dell'Italia, sottostante il Castello di Socerb / San Servolo, alto sulla Valle del Rio Ospo, zone che mi hanno già visto percorrere i sentieri antichi che attraversano zone di arenaria, come lascia tradire l'edificato (v. e.mail precedenti). Varchiamo immediatamente la frontiera e con un tratturo scendiamo ripidamente ad Osp, camminando nella pineta. Raggiunto il villaggio, ci soffermiamo presso una caratteristica casa di un contadino locale, che ci racconta della sua produzione di olio, di vino e, dimostrando grande ospitalità, ci fa entrare nella sua cantina, dove albergano invitanti prosciutti, salami, pancette e speck. Riprendiamo il cammino, investiti dalle forti raffiche di vento e, con una carrareccia, ci accostiamo al grande salto roccioso che domina il paese, ai piedi del quale, in piano, ci sono degli suggestivi uliveti. A Gabrovica ci aspetta un'antica cisterna d'acqua e, poco sopra, la piccola chiesa, sovrastata dall'imponente viadotto autostradale. Ci stiamo lasciando alle spalle la Valle dell'Osp / Ospo e ci dirigiamo, gradualmente, verso un altro sistema collinare, assai isolato e silente, oltre il quale si dispiega la Valle del Rizana / Risano. In questo tratto abbiamo modo di toccare 2 ameni borghi, dove raccolgo le impressioni più vive ed autentiche di quest'escursione: infatti, a Stepani, un pugno di case raccolte attorno ad un'altura, c'imbattiamo in una grande stalla, all'interno della quale gli armenti sono intenti a nutrirsi e dove grazie a loro la temperatura è decisamente mite, e ci soffermiamo in corrispondenza di alcune vecchie case in arenaria parzialmente dirute, da dove si scorgono le antiche strutture portanti. Sono immagini di una realtà autentica, viva, in parte passata, tanto lontana dalla frenesia della quotidianità. Poco dopo tocchiamo la cima dell'altura dove si trova la chiesa di Rozar, alta sulla Valle del Rizana / Risano: il panorama è davvero suggestivo sulle frazioni di fondovalle e, più in là, sui colli dell'Istria slovena. Scendiamo a Rizana, dove incontriamo una simpatica famiglia di agricoltori: bastano un saluto, qualche parola e subito veniamo invitati all'interno della loro cantina, a bere un bicchiere, a riscaldarci un po' e ad assaggiare un saporito salame. Oltrepassiamo il fiume su di un ponte ed iniziamo la risalita lungo il versante opposto, seguendo una carrareccia, dalla quale begli sono gli scorci sulla zona appena attraversata e, più in là, sul ciglione. Più in su la carrareccia si esaurisce in un bosco ceduo, che si risale liberamente, toccando presto il sentiero segnato che raggiunge dapprima una sella e, quindi, una collina che separa la Valle del Rizana / Risano dall'altopiano digradante verso la Croazia. Suggestive ed inusuali sono le prospettive panoramiche verso l'Italia. Raggiungiamo Kubed, bel paese, alto sull'altopiano, e sito lungo la via per la Croazia, caratterizzato da un interessante sistema fortificato, che si rifà ai tabor, tipiche espressioni difensive delle genti del Carso.L'ultimo sforzo ci permette di risalire il Monte Lacna, che ho già toccato nel corso di una precedente e differente escursione. Lungo il sentiero, che si snoda attraverso una folta pineta, sono evidenti le tracce lasciate dai cinghiali, intenti a scovare radici. In cima la torre panoramica in acciaio consente di elevarsi al di sopra della pineta e godere dell'immenso panorama sulla zona carsica della Slovenia meridionale. All'orizzonte, invece, si scorgono da un lato il Mar Adriatico e dall'altro le colline della Croazia. Incontriamo una famiglia slovena con la quale c'intratteniamo a lungo, discorrendo (in inglese) del prossimo ingresso della Croazia nell'UE e di quali cambiamenti attenderanno queste genti e di altri stimoli escursionistici siti nei dintorni. Scendiamo in breve a Gradisce, la nostra destinazione, e ci rifocilliamo con dell'ottima gastronomia in un bel locale, che ci vedrà ancora loro ospiti.
Giuliano
RAVASCLETTO (UDINE) 23/8/11
E' una splendida mattinata di fine Agosto, quella in cui mi risveglio tra lo stupore delle mie montagne e, finalmente, posso coronare uno dei miei desideri escursionistici, volti a scoprire l'intero comprensorio dello Zoncolan e dell'Arvenis, che solitamente visito in aspetto invernale. Decido, così, di avvantaggiarmi, usufruendo dell'impianto a fune e di essere in vetta allo Zoncolan di buon mattino. Camminerò da solo per 7 ore abbondanti, ripercorrendo luoghi attraversati molteplici volte, cosiccome angoli e plaghe a me meno familiari. Ad ogni modo, sarà un'esperienza indimenticabile, che mi regalerà il privilegio di ascoltare il silenzio, il rumore del vento, il volteggiare guardingo dei grifoni, che mi sorvoleranno appena poco sopra il capo durante l'ascesa remunerativa all'Arveinis, spettacolare balcone panoramico sulla Carnia Occidentale.
Il circuito, che ho previsto di percorrere, mi consente di camminare attraverso il comprensorio dello Zoncolan - specchio composto del turismo della montagna d'inverno - e quello delle malghe dell'Arvenis - specchio, invece, dell'attività casearia e dell'allevamento, ossia della ruralità della montagna carnica, tipica delle zone più isolate e recondite della regione. Effettivamente l'escursione, lunghissima e tanto faticosa quanto appagante per i panorami, gli scorci, la solitudine e l'immensità, si compone di questi 2 quadri socio-economici, che rivelano l'essere della montagna contemporanea. Quassù, s'intrecciano storie e racconti dei malgari, cosiccome - sull'altro versante - storie del turismo invernale, caratterizzato dalle attività sportive. Non da ultimo, però, lo Zoncolan riserva anche le storie del ciclismo, con la salita - da Ovaro - più dura d'Europa, scoperta e percorsa solo di recente dai corridori del Giro d'Italia. Le emozioni non mancheranno, nel percorrere il circuito ad anello proposto, caratterizzato dagli impianti a fune, dalle vette, dalle casere, dai prati, dai boschi e dalle strade del Giro. Rientrerò, sfinito, a Ravascletto solo nel tardo pomeriggio, pronto per gustarmi un'ottima gastronomia carnica, e, soprattutto, rinfrancato nello spirito, che ora sento più leggero, sollevato ed appagato, come solo una lunga e gratificante camminata in montagna sa donarmi.
Venite con me alla scoperta del comprensorio dello Zoncolan e dell'Arvenis, nella speranza, attraverso i miei racconti e le mie immagini, di farvi apprezzare un luogo a me tanto caro!
Mandi,
Giuliano
E' una splendida mattinata di fine Agosto, quella in cui mi risveglio tra lo stupore delle mie montagne e, finalmente, posso coronare uno dei miei desideri escursionistici, volti a scoprire l'intero comprensorio dello Zoncolan e dell'Arvenis, che solitamente visito in aspetto invernale. Decido, così, di avvantaggiarmi, usufruendo dell'impianto a fune e di essere in vetta allo Zoncolan di buon mattino. Camminerò da solo per 7 ore abbondanti, ripercorrendo luoghi attraversati molteplici volte, cosiccome angoli e plaghe a me meno familiari. Ad ogni modo, sarà un'esperienza indimenticabile, che mi regalerà il privilegio di ascoltare il silenzio, il rumore del vento, il volteggiare guardingo dei grifoni, che mi sorvoleranno appena poco sopra il capo durante l'ascesa remunerativa all'Arveinis, spettacolare balcone panoramico sulla Carnia Occidentale.
Il circuito, che ho previsto di percorrere, mi consente di camminare attraverso il comprensorio dello Zoncolan - specchio composto del turismo della montagna d'inverno - e quello delle malghe dell'Arvenis - specchio, invece, dell'attività casearia e dell'allevamento, ossia della ruralità della montagna carnica, tipica delle zone più isolate e recondite della regione. Effettivamente l'escursione, lunghissima e tanto faticosa quanto appagante per i panorami, gli scorci, la solitudine e l'immensità, si compone di questi 2 quadri socio-economici, che rivelano l'essere della montagna contemporanea. Quassù, s'intrecciano storie e racconti dei malgari, cosiccome - sull'altro versante - storie del turismo invernale, caratterizzato dalle attività sportive. Non da ultimo, però, lo Zoncolan riserva anche le storie del ciclismo, con la salita - da Ovaro - più dura d'Europa, scoperta e percorsa solo di recente dai corridori del Giro d'Italia. Le emozioni non mancheranno, nel percorrere il circuito ad anello proposto, caratterizzato dagli impianti a fune, dalle vette, dalle casere, dai prati, dai boschi e dalle strade del Giro. Rientrerò, sfinito, a Ravascletto solo nel tardo pomeriggio, pronto per gustarmi un'ottima gastronomia carnica, e, soprattutto, rinfrancato nello spirito, che ora sento più leggero, sollevato ed appagato, come solo una lunga e gratificante camminata in montagna sa donarmi.
Venite con me alla scoperta del comprensorio dello Zoncolan e dell'Arvenis, nella speranza, attraverso i miei racconti e le mie immagini, di farvi apprezzare un luogo a me tanto caro!
Mandi,
Giuliano
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Grotta Michelangelo |
E' esplosa la Primavera al termine di un Inverno, che, quest'anno, non è mai arrivato. Gli alberi si stanno ricoprendo di gemme candide dal color verde chiaro e tenue, fiori bianchi ricoprono le chiome di alti cespugli, fringuelli, merli e cinciallegre cantano amabilmente nel sottobosco, sicché il procedere accanto al fiume che sgorga tra le rocce calmo e placido, alternando tratti più movimentati, è reso più piacevole.
E' splendida la giornata di Pasquetta, quando c'incamminiamo lungo questo sentiero, aperto nel 1996.
Si parte da Famlje, piccola borgata agricola posta negl'immediati dintorni di Divaca. In breve si raggiunge un alto ponte ad un'arcata sul Fiume Reka (il Timavo); un'indicazione consiglia di salire ad un belvedere, da dove la vista spazia, però, soltanto sulla piana caratterizzata da sporadiche abitazioni e ricoperta da prati estesi.
Ridiscesi al ponte, delle segnalazioni invitano ad intraprendere il percorso naturalistico lungo il corso del Timavo. Il sentiero molto ben segnalato conduce nel bosco e presto si perviene ai ruderi di un'antica costruzione, che doveva essere verosimilmente un antico mulino. Si continua, camminando a breve distanza dal fiume, che sgorga assai calmo e le cui acque, in questo tratto sono un po' intorbidite dal fondo sabbioso e limaccioso dell'alveo. Si prosegue nel totale silenzio e godendo della pace e dell'amenità di questo luogo. Alcuni alberi sono precipitati nell'acqua ma sono ancora vivi, come testimoniano le gemme che crescono sulle porzioni non sommerse. Ad un tratto il fiume rumoreggia maggiormente: è il segno che l'ambiente sta cambiando e che l'acqua deve farsi spazio tra le altissime pareti di roccia che sbarrano il passaggio e che preludono alle non lontane Skocjanske Jame (Grotte di San Canziano), dove il Timavo s'inabisserà per sfociare a Duino, a 2 km dalla foce.
Non si può più procedere lungo il margine del fiume, pertanto il sentiero risale l'erto fianco roccioso tramite un suggestivo tratto costituito da scale in legno e funi in acciaio, che agevolano la marcia.
In breve si è ai ruderi dell'antico Castello di Skrolj, altissimo sul fiume, che si è raggiunto dopo circa 1 h di cammino. Volendo, si può interrompere quì l'escursione, in quanto una forestale che si diparte verso destra, riporta a Famlje.
Dall'antico castello, proseguendo, si percorre un tratto di cresta, al margine di un ampio prato e della profonda forra. Dopo poco il sentiero piega verso il basso e riconduce verso le acque del fiume. Uno stupendo belvedere assai esposto, sebbene adeguatamente protetto, permette di ammirare un eccezionale panorama sui meandri del fiume, sui boschi circostanti e sul borgo di MATAVUN sospeso sopra alle grotte in cui il Timavo s'inabissa.
La discesa, a tratti ripida, riporta presso l'alveo del fiume, in un paesaggio silenzioso e particolare; è bello deviare a sinistra, abbandonando momentaneamente il percorso segnato, e seguire la traccia, finché essa si esaurisce presso le acque del fiume. L'alveo sassoso ed ombreggiato regala un quadro ambientale veramente particolare.
Proseguendo, il sentiero naturalistico porta a costeggiare il Timavo, attraversando un ultimo tratto scavato nella roccia, quindi attraversando una parte pianeggiante e sabbiosa. Ruderi di un'antica diga e di diruti mulini raccontano di un passato che non c'è più. Tra queste pietre, ora dimorano rane e rospi, che sfuggono alla calura di questa domenica primaverile, tuffandosi nelle placide acque del fiume.
Il sentiero conduce, ora, fuori dalla forra e punta in direzione di Matavun, allontanandosi dal Timavo; tuttavia, in corrispondenza di un bivio, pieghiamo a sinistra e risaliamo un pendio boscoso. All'apice di questo uno piccolo spiazzo fa intravedere l'enorme portale di una grotta e da lì si ha modo di risentire l'acqua del Timavo: è la Grotta Michelangelo, la cavità nella quale il fiume carsico s'inabissa per riemergere alle Bocche del Timavo di Duino. Il sentiero entra in tutta sicurezza nella Cavità Michelangelo, offrendo il momento più alto di tutta l'escursione: è magnifico osservare l'acqua del placido fiume entrare nella grotta e sentire perdersi nell'oscurità, infrangendosi vorticosamente tra le rocce. Il sentiero esce dalla Caverna Michelangelo dalla parte opposta e sale nel bosco, giungendo in breve a Matavun, dalla cui chiesa un terrazzo panoramico consente di osservare con ammirazione l'intero sviluppo della vallata che si è appena attraversata, seguendo l'itinerario proposto.
Da Matavun si segue la strada e si raggiunge in breve la minuscola frazione di Naklo, alla cui estremità ci aspetta un'antica chiesa del 1655. Da lì, per prati, si raggiunge il ponte sul Timavo ed il borgo di Famlje.
Timavo: la magia del Carso è tutta quì! Buona visita!
Giuliano.
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COLICO (LECCO) 23-25/4/11
Il Lario, altro toponimo del Lago di Como, costituisce l'altra meta del nostro viaggio in Alta Lombardia. Dell'altra destinazione, la Ferrovia del Bernina (Svizzera), vi ho riferito recentemente.
La zona è senz'altro rinomata e meta di prim'ordine del flusso turistico che interessa la Lombardia, regione cui si associano immagini di fabbriche, di centri finanziari, di frenesia e di produttività piuttosto che di ambienti naturali e di elementi paesaggistici. Tuttavia, sebbene l'antropizzazione del sito è notevole, sfogliando tra le memorie storiche, letterarie, artistiche e tra la particolare atmosfera del Lago, si trovano ancora validi motivi d'interesse, che richiedono visite, soste e fermate al turista che voglia assaporare la realtà etnografica ed ambientale dell'area lariana.
"Porta d'ingresso" all'esplorazione del Lago di Como è, ovviamente, la città di Como, che conserva un suggestivo e raccolto centro storico entro il quale si celano begli episodi architettonici ed artistici tanto antichi quanto contemporanei. Essa si frappone tra la pianura, che digrada verso la Brianza e Milano a S, e la regione prealpina, che con scenari sorprendenti e suggestivi, si sviluppa a N.
Bellissima è la strada litoranea, che serpeggia sinuosamente lungo la riviera occidentale del lago (sponda comasca), toccando borgate di pescatori frapposte ad eleganti e signorili ville, antiche residenze di baroni, nobili ed aristocratici lombardi. Di tanto in tanto strade secondarie s'insinuano verso le ripide e strette valli che scendono dalle creste di confine con la prossima Svizzera. Solo dopo Gravedona, quindi alla testata del Lago di Como, gli spazi diventano, ma solo per un attimo, più ampi, quasi a permettere all'Adda d'immettersi nel lago alle porte di Colico, dove passa il confine con i territori di Lecco (dal 1992) e di Sondrio. Quassù, a Colico, convergono nel bacino lacustre le celebri Valtellina e Valchiavenna (SO), che nuovamente, strette tra le Alpi Orobie e Retiche, restringono ancora una volta gli orizzonti.
Il versante lecchese è altrettanto ripido ed impervio di quello comasco, forse ancora un po' di più! I piccoli centri abitati sono lambiti dalle acque del lago e stretti, aggrappati alle rocce - quelle del massiccio delle Grigne - che si protendono sino al lago stesso. Bellagio è il punto più scenografico del Lago di Como, posto alla confluenza dei 3 rami che costituiscono il bacino: il ramo di Como (SO), quello di Lecco (SE) e quello di Colico (N). Assaporare la grandezza e la varietà del paesaggio circostante in un'unica soluzione, è possibile soltanto se ci si spinge alla Punta Spartivento. Sosteremo lì, seduti nel punto accessibile più estremo, osserveremo le imbarcazioni solcare le acque del Lario, giocheremo ad indovinare il nome delle innumerevoli frazioni che si affacciano ad esse sulle rive difronte a noi, cercheremo gli elementi ambientali e non soltanto, che abbiamo appreso dai libri di scuola quando leggevamo di romanzi ambientati quì in Alta Lombardia, ripercorreremo le sensazioni, le emozioni ed i particolari che abbiamo vissuto in questi luoghi; non ci accorgeremo del tempo che passa e del fatto che si sarà fatto il momento di congedarsi da Bellagio e dal Lago di Como con impresse negl'occhi e nella mente immagini davvero eccezionali e semplici, come quella di aprire al risveglio la nostra finestra di Colico e di trovare il blu della placida acqua del lago ad un palmo da noi: era il nostro "buongiorno", il saluto che la Lombardia dava a 2 suoi affascinati ospiti!
Giuliano
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Il Lario, altro toponimo del Lago di Como, costituisce l'altra meta del nostro viaggio in Alta Lombardia. Dell'altra destinazione, la Ferrovia del Bernina (Svizzera), vi ho riferito recentemente.
La zona è senz'altro rinomata e meta di prim'ordine del flusso turistico che interessa la Lombardia, regione cui si associano immagini di fabbriche, di centri finanziari, di frenesia e di produttività piuttosto che di ambienti naturali e di elementi paesaggistici. Tuttavia, sebbene l'antropizzazione del sito è notevole, sfogliando tra le memorie storiche, letterarie, artistiche e tra la particolare atmosfera del Lago, si trovano ancora validi motivi d'interesse, che richiedono visite, soste e fermate al turista che voglia assaporare la realtà etnografica ed ambientale dell'area lariana.
"Porta d'ingresso" all'esplorazione del Lago di Como è, ovviamente, la città di Como, che conserva un suggestivo e raccolto centro storico entro il quale si celano begli episodi architettonici ed artistici tanto antichi quanto contemporanei. Essa si frappone tra la pianura, che digrada verso la Brianza e Milano a S, e la regione prealpina, che con scenari sorprendenti e suggestivi, si sviluppa a N.
Bellissima è la strada litoranea, che serpeggia sinuosamente lungo la riviera occidentale del lago (sponda comasca), toccando borgate di pescatori frapposte ad eleganti e signorili ville, antiche residenze di baroni, nobili ed aristocratici lombardi. Di tanto in tanto strade secondarie s'insinuano verso le ripide e strette valli che scendono dalle creste di confine con la prossima Svizzera. Solo dopo Gravedona, quindi alla testata del Lago di Como, gli spazi diventano, ma solo per un attimo, più ampi, quasi a permettere all'Adda d'immettersi nel lago alle porte di Colico, dove passa il confine con i territori di Lecco (dal 1992) e di Sondrio. Quassù, a Colico, convergono nel bacino lacustre le celebri Valtellina e Valchiavenna (SO), che nuovamente, strette tra le Alpi Orobie e Retiche, restringono ancora una volta gli orizzonti.
Il versante lecchese è altrettanto ripido ed impervio di quello comasco, forse ancora un po' di più! I piccoli centri abitati sono lambiti dalle acque del lago e stretti, aggrappati alle rocce - quelle del massiccio delle Grigne - che si protendono sino al lago stesso. Bellagio è il punto più scenografico del Lago di Como, posto alla confluenza dei 3 rami che costituiscono il bacino: il ramo di Como (SO), quello di Lecco (SE) e quello di Colico (N). Assaporare la grandezza e la varietà del paesaggio circostante in un'unica soluzione, è possibile soltanto se ci si spinge alla Punta Spartivento. Sosteremo lì, seduti nel punto accessibile più estremo, osserveremo le imbarcazioni solcare le acque del Lario, giocheremo ad indovinare il nome delle innumerevoli frazioni che si affacciano ad esse sulle rive difronte a noi, cercheremo gli elementi ambientali e non soltanto, che abbiamo appreso dai libri di scuola quando leggevamo di romanzi ambientati quì in Alta Lombardia, ripercorreremo le sensazioni, le emozioni ed i particolari che abbiamo vissuto in questi luoghi; non ci accorgeremo del tempo che passa e del fatto che si sarà fatto il momento di congedarsi da Bellagio e dal Lago di Como con impresse negl'occhi e nella mente immagini davvero eccezionali e semplici, come quella di aprire al risveglio la nostra finestra di Colico e di trovare il blu della placida acqua del lago ad un palmo da noi: era il nostro "buongiorno", il saluto che la Lombardia dava a 2 suoi affascinati ospiti!
Giuliano
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PODGORJE (SLOVENIA) 4/3/12
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E' stupendo il solco vallivo ai piedi dello Slavnik/Monte Taiano, caratterizzato da prati battuti dalla Bora e da selve non impenetrabili ma selvagge.
Raggiungiamo con bramosia l'ultimo villaggio della Slovenia, prima del confine con la Croazia, che si trova nella parte più alta del solco, delimitato a N dall'imponente sagoma del Slavnik/Monte Taiano, una delle principali cime di questa parte dell'Altopiano, ed a S dal Monte Kojnik, apparentemente un'anonima altura, ma che saprà riservare a chi si avventurerà nella sua ascesa a scorci mozzafiato. Arriviamo a Podgorje, tranquillissima frazione slovena in una domenica un po' grigia: soffia il vento, che non è più gelido come appena alcuni orsono, ma non è neppure tiepido. E' Marzo: il clima deve ancora accomiatarsi dall'inverno ed assumere le caratteristiche tipicamente primaverili. All'incamminarsi, veniamo salutati da alcuni begli esemplari di cani da guardia ai campi coltivati con tanto sforzo e fatica dai rudi contadini del borgo, che ci guardano un po' incuriositi ma altrettanto diffidenti ci salutano. Poi non incontreremo più nessuno: solo qualche cinguettio saltuario, la quiete del bosco invernale, la neve e le sferzate di un vento che solo in prossimità della vetta si fa insistente e freddo. Saranno bellissimi gli scorci, ormai alti, sul fondovalle dove giacciono le case di Podgorje, le inusuali prospettive del dirimpettaio Slavnik/Monte Taiano (meta decisamente più frequentata rispetto alla nostra odierna), la distesa dell'Altopiano e, offuscati un po' dalla foschia e dal grigio del cielo, sul lontano mare. Poco prima della vetta c'imbattiamo in chiazze di neve, che tocchiamo come dei bambini sorpresi: lì ci hanno camminato anche i caprioli, i cervi e qualche ungulato, come desumiamo dalle tracce e dalle impronte ivi lasciate. In un attimo siamo in vetta. Spettacolare è lo sguardo verso le colline che digradano verso la vicinissima Croazia: il senso di vastità, di pace, di silenzi e di selvaggio sono grandi!
Ridiscendiamo dal lato opposto lungo una pista forestale, che ci darà modo di essere riparati dal vento e di conversare piacevolmente. Passeremo accanto ad un abbeveratoio, la cui superficie è ancora ricoperta da una sottile patina di ghiaccio. Poi raggiungeremo, ormai all'imbrunire, Podgorje: sarà solo incamminandosi per i suoi vicoli e le sue androne, che scopriremo antichi portali carsici, dirute e caratteristiche case con le pergole, case le cui mura sono in pietra viva. Quadri di una vita rurale ancora viva, modesta e genuina, emblemi d'altri tempi: come la piccola e caratteristica stazione ferroviaria all'ingresso del borgo, dove un treno al giorno collega Podgorje a Rakitovec, ultimo paese sulla linea per la Croazia e, nel senso opposto, verso la Capitale, ed accanto alla quale si trova una stupenda gostilna, che ci attenderà a fine escursione.
Buon'escursione,
Giuliano
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E' stupendo il solco vallivo ai piedi dello Slavnik/Monte Taiano, caratterizzato da prati battuti dalla Bora e da selve non impenetrabili ma selvagge.
Raggiungiamo con bramosia l'ultimo villaggio della Slovenia, prima del confine con la Croazia, che si trova nella parte più alta del solco, delimitato a N dall'imponente sagoma del Slavnik/Monte Taiano, una delle principali cime di questa parte dell'Altopiano, ed a S dal Monte Kojnik, apparentemente un'anonima altura, ma che saprà riservare a chi si avventurerà nella sua ascesa a scorci mozzafiato. Arriviamo a Podgorje, tranquillissima frazione slovena in una domenica un po' grigia: soffia il vento, che non è più gelido come appena alcuni orsono, ma non è neppure tiepido. E' Marzo: il clima deve ancora accomiatarsi dall'inverno ed assumere le caratteristiche tipicamente primaverili. All'incamminarsi, veniamo salutati da alcuni begli esemplari di cani da guardia ai campi coltivati con tanto sforzo e fatica dai rudi contadini del borgo, che ci guardano un po' incuriositi ma altrettanto diffidenti ci salutano. Poi non incontreremo più nessuno: solo qualche cinguettio saltuario, la quiete del bosco invernale, la neve e le sferzate di un vento che solo in prossimità della vetta si fa insistente e freddo. Saranno bellissimi gli scorci, ormai alti, sul fondovalle dove giacciono le case di Podgorje, le inusuali prospettive del dirimpettaio Slavnik/Monte Taiano (meta decisamente più frequentata rispetto alla nostra odierna), la distesa dell'Altopiano e, offuscati un po' dalla foschia e dal grigio del cielo, sul lontano mare. Poco prima della vetta c'imbattiamo in chiazze di neve, che tocchiamo come dei bambini sorpresi: lì ci hanno camminato anche i caprioli, i cervi e qualche ungulato, come desumiamo dalle tracce e dalle impronte ivi lasciate. In un attimo siamo in vetta. Spettacolare è lo sguardo verso le colline che digradano verso la vicinissima Croazia: il senso di vastità, di pace, di silenzi e di selvaggio sono grandi!
Ridiscendiamo dal lato opposto lungo una pista forestale, che ci darà modo di essere riparati dal vento e di conversare piacevolmente. Passeremo accanto ad un abbeveratoio, la cui superficie è ancora ricoperta da una sottile patina di ghiaccio. Poi raggiungeremo, ormai all'imbrunire, Podgorje: sarà solo incamminandosi per i suoi vicoli e le sue androne, che scopriremo antichi portali carsici, dirute e caratteristiche case con le pergole, case le cui mura sono in pietra viva. Quadri di una vita rurale ancora viva, modesta e genuina, emblemi d'altri tempi: come la piccola e caratteristica stazione ferroviaria all'ingresso del borgo, dove un treno al giorno collega Podgorje a Rakitovec, ultimo paese sulla linea per la Croazia e, nel senso opposto, verso la Capitale, ed accanto alla quale si trova una stupenda gostilna, che ci attenderà a fine escursione.
Buon'escursione,
Giuliano
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BASOVIZZA (TS) 17/1/10
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Apriamo il Nuovo Anno non effettuando un'escursione, bensì accogliendo un invito del Corpo Forestale dello Stato, nei cui ambienti di Basovizza ospita un'interessante quanto singolare mostra sui valichi agricoli del Carso Triestino. Questi varchi, disseminati sull'altopiano e, più a S, sulle alture sovrastanti Muggia, sono stati pensati per favorire gli spostamenti degli agricoltori e degli allevatori del Carso tra un podere e l'altro, sovente rimasti al di qua od al di là del confine all'indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale, quando su queste terre venne tracciata la nuova linea di demarcazione tra Italia ed Jugoslavia.
Riscopriremo così, angoli, scorci, documenti e simboli, che hanno caratterizzato la nostra fanciullezza e la nostra adolescenza, cosiccome le nostre innumerevoli camminate sul Carso, sempre in cerca di un sentiero nuovo, che portasse attraverso angoli sconosciuti, al limite del confine, di quella barriera politico-amministrativa che ha sempre incusso rispetto e timore al suo avvicinarvisi.
Buon Anno!
Giuliano
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KAZLJE (SLOVENIA) 6/2/11
E' un autentico tuffo all'indietro di 40-50 anni, quello che sperimentiamo, recandoci a percorrere il lungo ed affascinante anello dei borghi della Val Rasa. E' la prima domenica di Febbraio, incredibilmente mite e soleggiata, quella che scegliamo per intraprendere un itinerario solitario, denso di emozioni culturali e paesaggistiche, che non poco ci sorprenderanno per gli scenari, la quiete, la solitudine, gl'incontri ed i panorami quasi d'altri tempi: sarà proprio questo ad arricchirci al nostro ritorno a Kazlje.
Partiamo dal villaggio carsico, puntando subito all'antico castelliere sovrastante il villaggio addormentato della domenica mattina: toccare e camminare sulle antiche mura difensive del vasto e grande abitato preistorico è una sensazione unica, soprattutto ammirando, oltre il bosco, i villaggi della Val Rasa, abbarbicati al costone che ci accingiamo a risalire.
Scendiamo, percorrendo la traccia nel bosco ceduo, nella valle sottostante e, solo da ultimo, tra gli spogli alberi in veste invernale, ammiriamo lo stupore della Val Rasa, il lungo solco che sembra spezzare l'altopiano carsico. Tanto audaci quanto sporadiche fioriture ci attendono lungo la carrareccia, che la percorre tutta. In breve raggiungiamo i casolari Gorupi, dove un solitario contadino in compagnia del suo Lassie ci accoglie dapprima con aria titubante, poi, capito che siamo degli escursionisti, c'illustra le particolarità della zona, accompagnandoci assieme al suo cane per un buon pezzo lungo la valle laterale disseminata dai resti degli antichi mulini. Parliamo in inglese con lui, che ci racconta del luogo, ci conduce nei punti più suggestivi della valle, per poi lasciarci all'imbocco dell'erto sentiero che porta in quota. Il suo Lassie ci conduce attraverso antichi tracciati, ci attende, ci annusa, gioca con noi! Quanto è genuino quest'occasionale incontro!
Fa incredibilmente caldo, quando risaliamo il versante dell'erto colle sul quale sorge Stomaz, il primo dei borghi della Val Rasa. Vi osserviamo delle belle costruzioni dall'aspetto rustico: tra queste si nascondono fontane in pietra ed affascinanti attrezzi agricoli. Non c'è quasi nessuno in paese, nè lungo il nostro cammino. C'immergiamo nuovamente nel silente bosco, attraversando valloni e sbucando, da ultimo, nell'idilliaco borgo di Poljane, un pugno di raccolte case antiche e restaurate, circondate da pascoli e campi coltivati da favola. La pace, l'integrità ambientale, l'osservare un paio di agricoltori prendersi cura dei loro appezzamenti al cospetto del lontano Nanos, ci fa apprezzare enormemente questa particolare atmosfera, dove i motori, i veicoli e la frenesia della vita quotidiana sono bandite! Proseguiamo il nostro cammino e raggiungiamo Bogo, altra minuscola frazione della Val Rasa: alcuni agricoltori, alle porte del villaggio stanno curando il loro campo, mentre dei cani abbaiano al nostro ingresso nel villaggio. Una donna c'invita a curiosare nella sua legnaia, tanto rustica quanto elegante: è un'altra occasione per assaporare quest'atmosfera rurale unica!
Lasciamo Bogo, per dirigerci verso Stjak, il villaggio più grande e più lontano del nostro circuito. Un capriolo attira la nostra attenzione! Raggiungiamo Stjak, alti sulla Val Rasa: da quassù è possibile osservare le alture del Carso Sloveno cosiccome quelle più imponenti delle Selve di Tarnova, oltre la Valle del Vipacco. Il silenzio, la pace e la tranquillità regnano incontrastate. Raggiungiamo la suggestiva ed antica chiesa del villaggio, circondata da antiche costruzioni perlopiù rimaneggiate.
Il sole si avvia al tramonto ed è ora di ridiscendere in Val Rasa; la raggiungeremo al termine di una ripida discesa, toccando Mahnici, allorquando una sottile foschia starà per avvolgere la fredda e silente valle. Il camino fumante di una piccola e raccolta casa racconta di un inverno non ancora trascorso, sebbene il sole abbia riscaldato a sufficienza nelle ore più calde. Raggiungeremo Kazlje, quando ormai sarà buio, illuminati solo dalla tersa luce di un fantastico tramonto invernale.
Buon cammino,
Giuliano
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Apriamo il Nuovo Anno non effettuando un'escursione, bensì accogliendo un invito del Corpo Forestale dello Stato, nei cui ambienti di Basovizza ospita un'interessante quanto singolare mostra sui valichi agricoli del Carso Triestino. Questi varchi, disseminati sull'altopiano e, più a S, sulle alture sovrastanti Muggia, sono stati pensati per favorire gli spostamenti degli agricoltori e degli allevatori del Carso tra un podere e l'altro, sovente rimasti al di qua od al di là del confine all'indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale, quando su queste terre venne tracciata la nuova linea di demarcazione tra Italia ed Jugoslavia.
Riscopriremo così, angoli, scorci, documenti e simboli, che hanno caratterizzato la nostra fanciullezza e la nostra adolescenza, cosiccome le nostre innumerevoli camminate sul Carso, sempre in cerca di un sentiero nuovo, che portasse attraverso angoli sconosciuti, al limite del confine, di quella barriera politico-amministrativa che ha sempre incusso rispetto e timore al suo avvicinarvisi.
Buon Anno!
Giuliano
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SAN SERVOLO - Socerb (Slovenia)
Percorrere quest'itinerario, come di seguito descritto, è possibile solo da alcuni mesi, ovvero dalla caduta del confine avvenuta il 20/12/2007, poiché l'attraversamento del Valico di Prebenico era consentito, sino a quel giorno, ai soli possessori di Lasciapassare.
Il piccolo villaggio diPrebenico, costruito in arenaria, è alto sulla Piana di Zaule, caratterizzata dai serbatoi dell'oleodotto transalpino, che collega Trieste ad Ingolstadt (Germania). Esso, immerso nel verde, è dominato dalla mole del bel Castello di Socerb (Slovenia), posto su un lunghissimo ciglione e lungo la linea di confine: è un territorio, questo, da sempre conteso tra le popolazioni che si sono succedute, essenzialmente a causa della posizione strategica dei luoghi.
L'escursione ha inizio da Prebenico, frazione rurale lambita dalla frontiera con la Slovenia, che si attraversa, portandosi a quella di Socerb, celebre destinazione slovena di quest'ambito del territorio, ricca di storia e di emergenze naturali; la si raggiunge, dall'Italia, per appartate strade e, da ultimo, per suggestivo sentiero in salita, finché si raggiunge l'alto orlo dell'altopiano.
La mole dell'antico, imprendibile castello domina su tutto: sulla nostra risalita, sul piccolo borgo, sulla vallata sottostante e su Trieste e la costa. Poche case in arenaria costituiscono il villaggio, nel quale a destare la curiosità è l'incessante gracchiare delle rane, che albergano in un piccolo e suggestivo stagno.
Saliti al castello, oggi ristorante di lusso, si viene ripagati dall'eccezionale panorama sulla città di Trieste, sui suoi dintorni e sulle colline dell'Istria Slovena. Quassù la storia antica, medievale e contemporanea s'intrecciano: da un lato il castello rimanda a vicissitudini e travagliati episodi, talvolta cruenti, che raccontano di dispute per la contesa di un punto così strategico, poi andato in oblio ed infine riportato in auge; dall'altro le garitte dei Graniciari, le Guardie della Polizia di Frontiera della Jugoslavia, riportano la mente a pochi anni orsono, quando il ciglione e tutta la linea di demarcazione erano costantemente vigilate e fortissima era la contrapposizione tra gli Stati.
Da Socerb, si attraversa l'altopiano e si scende, con lungo percorso, alla Valle dell'Osp, rio che attraversa la Piana di Zaule. Si discende una parete rocciosa, che nasconde il piccolo villaggio omonimo, assai caratteristico, dal tessuto edilizio rimarchevole. Anche quaggiù non mancano curiose tracce storiche: è nell'Ospaska Jama, la Grotta di Osp, che troviamo tracce che parlano di una spelonca utilizzata dai villici come rifugio ultimo ed estremo durante le non infrequenti scorribande dei Turchi, che devastavano campagne e frazioni, saccheggiandole e portandovi morte e terrore.
Oggi tutto questo, per fortuna, non c'è più e si cammina per ore nella pace di questi luoghi, assaporandone le memorie, le bellezze e la tranquillità.
Buona gita,
Giuliano
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L'escursione ha inizio da Prebenico, frazione rurale lambita dalla frontiera con la Slovenia, che si attraversa, portandosi a quella di Socerb, celebre destinazione slovena di quest'ambito del territorio, ricca di storia e di emergenze naturali; la si raggiunge, dall'Italia, per appartate strade e, da ultimo, per suggestivo sentiero in salita, finché si raggiunge l'alto orlo dell'altopiano.
La mole dell'antico, imprendibile castello domina su tutto: sulla nostra risalita, sul piccolo borgo, sulla vallata sottostante e su Trieste e la costa. Poche case in arenaria costituiscono il villaggio, nel quale a destare la curiosità è l'incessante gracchiare delle rane, che albergano in un piccolo e suggestivo stagno.
Saliti al castello, oggi ristorante di lusso, si viene ripagati dall'eccezionale panorama sulla città di Trieste, sui suoi dintorni e sulle colline dell'Istria Slovena. Quassù la storia antica, medievale e contemporanea s'intrecciano: da un lato il castello rimanda a vicissitudini e travagliati episodi, talvolta cruenti, che raccontano di dispute per la contesa di un punto così strategico, poi andato in oblio ed infine riportato in auge; dall'altro le garitte dei Graniciari, le Guardie della Polizia di Frontiera della Jugoslavia, riportano la mente a pochi anni orsono, quando il ciglione e tutta la linea di demarcazione erano costantemente vigilate e fortissima era la contrapposizione tra gli Stati.
Da Socerb, si attraversa l'altopiano e si scende, con lungo percorso, alla Valle dell'Osp, rio che attraversa la Piana di Zaule. Si discende una parete rocciosa, che nasconde il piccolo villaggio omonimo, assai caratteristico, dal tessuto edilizio rimarchevole. Anche quaggiù non mancano curiose tracce storiche: è nell'Ospaska Jama, la Grotta di Osp, che troviamo tracce che parlano di una spelonca utilizzata dai villici come rifugio ultimo ed estremo durante le non infrequenti scorribande dei Turchi, che devastavano campagne e frazioni, saccheggiandole e portandovi morte e terrore.
Oggi tutto questo, per fortuna, non c'è più e si cammina per ore nella pace di questi luoghi, assaporandone le memorie, le bellezze e la tranquillità.
Buona gita,
Giuliano
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SECOVLJE/SICCIOLE (SLOVENIA) 10/4/11
La celebre località costiera, oggi posta sul confine tra Slovenia e Croazia, lega indissolubilmente il suo nome al sale ed all'importanza che questo elemento di conservazione e condimento ha sempre avuto nell'alimentazione mediterranea. La visita alle Saline di Sicciole è quantomai istruttiva e permette di capire sia i trascorsi storici, non sempre facili, di queste terre, sia il ruolo nel sale nella nostra cucina.
L'escursione, poi, esula dal sito di mera produzione e va ad indagare, con un lunga camminata, il corso finale del Torrente Dragonja / Dragogna, reso celebre dal 1991, allorquando il suo corso verso il mare ha segnato la nuova frontiera con la Croazia.
Sono gli orizzonti aperti sul mare, i casoni dei salinari, le vasche per la raccolta del sale, l'improvviso atterrare degli Aironi e dei Cavalieri d'Italia sulle distese d'acqua, i Cigni alla foce del fiume, le antiche case dei pescatori in riva al mare a caratterizzare tutto il nostro lungo cammino, durante il quale saremo inavvertitamente baciati dal sole, tant'è che a sera rientreremo abbronzantissimi e contenti di quest'esperienza escursionistica, grazie alla quale saremo entrati in contatto con una tipica realtà marinara, oggi pressoché desueta, ma un tempo florida ed altamente significativa per l'economia di quest'angolo di Alto Adriatico.
La celebre località costiera, oggi posta sul confine tra Slovenia e Croazia, lega indissolubilmente il suo nome al sale ed all'importanza che questo elemento di conservazione e condimento ha sempre avuto nell'alimentazione mediterranea. La visita alle Saline di Sicciole è quantomai istruttiva e permette di capire sia i trascorsi storici, non sempre facili, di queste terre, sia il ruolo nel sale nella nostra cucina.
L'escursione, poi, esula dal sito di mera produzione e va ad indagare, con un lunga camminata, il corso finale del Torrente Dragonja / Dragogna, reso celebre dal 1991, allorquando il suo corso verso il mare ha segnato la nuova frontiera con la Croazia.
Sono gli orizzonti aperti sul mare, i casoni dei salinari, le vasche per la raccolta del sale, l'improvviso atterrare degli Aironi e dei Cavalieri d'Italia sulle distese d'acqua, i Cigni alla foce del fiume, le antiche case dei pescatori in riva al mare a caratterizzare tutto il nostro lungo cammino, durante il quale saremo inavvertitamente baciati dal sole, tant'è che a sera rientreremo abbronzantissimi e contenti di quest'esperienza escursionistica, grazie alla quale saremo entrati in contatto con una tipica realtà marinara, oggi pressoché desueta, ma un tempo florida ed altamente significativa per l'economia di quest'angolo di Alto Adriatico.
Una buona visita ed una piacevole escursione a tutti!
Giuliano
GROPADA (TRIESTE) 20/2/11
L'Altopiano, il confine, le pinete di rimboschimento frutto dell'intervento degli Austriaci nell'Ottocento (Ressel), le casite carsiche, i grandi, profondi e misteriosi abissi del Carso sul fondo dei quali scorre il Timavo, le ampie e spettacolari doline, emblema del carsismo: sono questi gli elementi che caratterizzano questo tratto dell'"Alta Via del Carso", bel sentiero, che attraversa tutto l'Altopiano nei suoi punti più prossimi alla frontiera con la Slovenia.
Gli episodi storici (pietra miliare segnante le demarcazioni dei territori dei vari borghi), naturalistici ed etnografici non mancano, sicchè la semplice escursione si rivela di particolare interesse, benchè ripetuta in più occasioni. Come sempre, il Carso sa donare piacevolezza, sorpresa, ricordi ed emozioni a chiunque vi s'incammini, purchè dotato di un minimo spirito d'osservazione e curiosità ambientali, che rendono appagante ogni escursione attraverso queste plaghe.
E' una giornata fredda e grigia, quando c'avventuriamo in questa non lunga camminata, ma densa di episodi ambientali di grande valenza. Il vento soffia insistente, seppur non veemente, tra le fronde degl'alti pini, cosiccome tra i più bassi cedui. Approssimandosi al balcone sulla Conca di Orlek, l'erba secca bruciata dal freddo, il bosco spoglio e la fredda aria proveniente da N ci rammentano che l'inverno è, quassù, ancora di casa.
Rientriamo a Gropada in serata, quando fa buio pesto ed i camini delle case raccolte del borgo sono fumanti: un invito al locale agriturismo per un tipico ristoro!
Buona visita!
*********************L'Altopiano, il confine, le pinete di rimboschimento frutto dell'intervento degli Austriaci nell'Ottocento (Ressel), le casite carsiche, i grandi, profondi e misteriosi abissi del Carso sul fondo dei quali scorre il Timavo, le ampie e spettacolari doline, emblema del carsismo: sono questi gli elementi che caratterizzano questo tratto dell'"Alta Via del Carso", bel sentiero, che attraversa tutto l'Altopiano nei suoi punti più prossimi alla frontiera con la Slovenia.
Gli episodi storici (pietra miliare segnante le demarcazioni dei territori dei vari borghi), naturalistici ed etnografici non mancano, sicchè la semplice escursione si rivela di particolare interesse, benchè ripetuta in più occasioni. Come sempre, il Carso sa donare piacevolezza, sorpresa, ricordi ed emozioni a chiunque vi s'incammini, purchè dotato di un minimo spirito d'osservazione e curiosità ambientali, che rendono appagante ogni escursione attraverso queste plaghe.
E' una giornata fredda e grigia, quando c'avventuriamo in questa non lunga camminata, ma densa di episodi ambientali di grande valenza. Il vento soffia insistente, seppur non veemente, tra le fronde degl'alti pini, cosiccome tra i più bassi cedui. Approssimandosi al balcone sulla Conca di Orlek, l'erba secca bruciata dal freddo, il bosco spoglio e la fredda aria proveniente da N ci rammentano che l'inverno è, quassù, ancora di casa.
Rientriamo a Gropada in serata, quando fa buio pesto ed i camini delle case raccolte del borgo sono fumanti: un invito al locale agriturismo per un tipico ristoro!
Buona visita!
MONTE SABOTINO (GO-SLOVENIA) 13/2/11
E' un ritorno, per me, quest'ascesa al Monte Sabotino, toponimo correlato ai cruenti combattimenti avvenuti durante la Prima Guerra Mondiale. Precedentemente vi ero sempre salito dal versante italiano, mentre stavolta seguiamo il suggestivo e più selvaggio tracciato che risale il versante N, in territorio sloveno. E' un'umida e fredda giornata di Febbraio, quando si programma quest'escursione, tuttavia il grigio del cielo non rovinerà l'interessante gita effettuata in piacevole compagnia.
Camminare sul Sabotino significa immergersi nella storia del Novecento, che ha caratterizzato questi luoghi: dapprima è la Ferrovia Transalpina con il suo grande viadotto di Solkan ed il suo sferragliare a lungo accanto alle turchesi acque dell'Isonzo/Soca a raccontare l'epopea delle ferrovie e delle comunicazioni attraverso luoghi tanto suggestivi quanto isolati. Risalendo, i tunnel, i ricoveri e le postazioni raccontano silenziosamente delle atroci sofferenze degli eserciti quì contrapposti. Sulla cresta, infine, le garitte ed i cippi confinari parlano, invece, di recenti suddivisioni territoriali e di storie di confine, oggi, venute meno, almeno parzialmente.
Poco sotto la vetta c'è la grande caserma delle Guardie di Confine, oggi trasformata in un frequentato rifugio contornato da lunghe trincee e da un museo bellico. La discesa dal Sabotino la effettuiamo lungo la strada militare, che collega il cima del monte alle case di Podsabotin, frazione del Goriska Brda / Collio Sloveno abbracciata dai vigneti.
Un buon bicchiere ed un ottima gastronomia faranno concludere in allegria l'escursione.
Ciao Sabotino!
Giuliano
E' un ritorno, per me, quest'ascesa al Monte Sabotino, toponimo correlato ai cruenti combattimenti avvenuti durante la Prima Guerra Mondiale. Precedentemente vi ero sempre salito dal versante italiano, mentre stavolta seguiamo il suggestivo e più selvaggio tracciato che risale il versante N, in territorio sloveno. E' un'umida e fredda giornata di Febbraio, quando si programma quest'escursione, tuttavia il grigio del cielo non rovinerà l'interessante gita effettuata in piacevole compagnia.
Camminare sul Sabotino significa immergersi nella storia del Novecento, che ha caratterizzato questi luoghi: dapprima è la Ferrovia Transalpina con il suo grande viadotto di Solkan ed il suo sferragliare a lungo accanto alle turchesi acque dell'Isonzo/Soca a raccontare l'epopea delle ferrovie e delle comunicazioni attraverso luoghi tanto suggestivi quanto isolati. Risalendo, i tunnel, i ricoveri e le postazioni raccontano silenziosamente delle atroci sofferenze degli eserciti quì contrapposti. Sulla cresta, infine, le garitte ed i cippi confinari parlano, invece, di recenti suddivisioni territoriali e di storie di confine, oggi, venute meno, almeno parzialmente.
Poco sotto la vetta c'è la grande caserma delle Guardie di Confine, oggi trasformata in un frequentato rifugio contornato da lunghe trincee e da un museo bellico. La discesa dal Sabotino la effettuiamo lungo la strada militare, che collega il cima del monte alle case di Podsabotin, frazione del Goriska Brda / Collio Sloveno abbracciata dai vigneti.
Un buon bicchiere ed un ottima gastronomia faranno concludere in allegria l'escursione.
Ciao Sabotino!
Giuliano
FORTEZZA/FRANZENSFESTE (BOLZANO) 9/10/11
D'improvviso l'estate sembra essere alle spalle, quasi spodestata da un freddo anticipo d'inverno, che si è insidiato con prepotenza: sono bastati un paio di giorni, per far assumere alle vette delle Alpi confinali un aspetto invernale, ricoperte - come sono - da uno stupefacente manto bianco di fresca neve. La giornata è splendida, soleggiata, l'aria è tersa e fredda, il cielo è limpido ed i raggi del sole irradiano con bellissimi chiaroscuri i boschi, le vallate, i paesi ed il grande fiume, la Drava, che ci accompagnerà per buona parte del viaggio. E' la solatia, ampia e verdeggiante Val Pusteria la destinazione di quest'escursione, valle di passaggio più che di villeggiatura, che, tuttavia, presenta degli interessanti spunti di visita e sosta per il turista meno affrettato. Abbiamo scelto 2 emergenze, che, meglio di altre, rappresentano la storia e lo stile di vita delle popolazioni valligiane: il Museo del Loden a Vandoies di Sopra ben racconta la storia e la tecnica di produzione del più rinomato abito tirolese, esportato ovunque, divenuto simbolo di queste comunità. L'imponente e grandiosa fortificazione di Fortezza, allo sbocco della Val Pusteria nella Valle Isarco - quindi in una posizione estremamente strategica lungo la via per l'Austria (Val Pusteria) e quella per la Germania (Valle Isarco - Passo del Brennero), è semplicemente un capolavoro dell'architettura militare asburgica. Essa, fortunatamente, non ebbe mai ad entrare in funzione!
I luoghi mi paiono così familiari, le sensazioni e le emozioni che provo attraversando l'intera Val Pusteria, osservandone i borghi, i boschi e le vette, mi riportano indietro nel tempo, quando sovente capitavo quassù.
E' grandioso quello che sento, nel visitare il complesso fortilizio di Fortezza, bagnato dal turchese lago artificiale ed interrotto dal passaggio della ferrovia, della strada statale e dall'autostrada del Brennero. Gli episodi, la storia e le curiosità che l'ammantano sono davvero tante, suggestive ed importanti a tal punto, che vi ritornerò!
Venite a scoprire con me quest'angolo dell'Alto Adige!
Ich wünsche Ihnen eine angenehme Reise!
Giuliano
D'improvviso l'estate sembra essere alle spalle, quasi spodestata da un freddo anticipo d'inverno, che si è insidiato con prepotenza: sono bastati un paio di giorni, per far assumere alle vette delle Alpi confinali un aspetto invernale, ricoperte - come sono - da uno stupefacente manto bianco di fresca neve. La giornata è splendida, soleggiata, l'aria è tersa e fredda, il cielo è limpido ed i raggi del sole irradiano con bellissimi chiaroscuri i boschi, le vallate, i paesi ed il grande fiume, la Drava, che ci accompagnerà per buona parte del viaggio. E' la solatia, ampia e verdeggiante Val Pusteria la destinazione di quest'escursione, valle di passaggio più che di villeggiatura, che, tuttavia, presenta degli interessanti spunti di visita e sosta per il turista meno affrettato. Abbiamo scelto 2 emergenze, che, meglio di altre, rappresentano la storia e lo stile di vita delle popolazioni valligiane: il Museo del Loden a Vandoies di Sopra ben racconta la storia e la tecnica di produzione del più rinomato abito tirolese, esportato ovunque, divenuto simbolo di queste comunità. L'imponente e grandiosa fortificazione di Fortezza, allo sbocco della Val Pusteria nella Valle Isarco - quindi in una posizione estremamente strategica lungo la via per l'Austria (Val Pusteria) e quella per la Germania (Valle Isarco - Passo del Brennero), è semplicemente un capolavoro dell'architettura militare asburgica. Essa, fortunatamente, non ebbe mai ad entrare in funzione!
I luoghi mi paiono così familiari, le sensazioni e le emozioni che provo attraversando l'intera Val Pusteria, osservandone i borghi, i boschi e le vette, mi riportano indietro nel tempo, quando sovente capitavo quassù.
E' grandioso quello che sento, nel visitare il complesso fortilizio di Fortezza, bagnato dal turchese lago artificiale ed interrotto dal passaggio della ferrovia, della strada statale e dall'autostrada del Brennero. Gli episodi, la storia e le curiosità che l'ammantano sono davvero tante, suggestive ed importanti a tal punto, che vi ritornerò!
Venite a scoprire con me quest'angolo dell'Alto Adige!
Ich wünsche Ihnen eine angenehme Reise!
Giuliano
RAVASCLETTO (UDINE) 7/1/12
Apro il 2012 con una semplice e rilassante passeggiata lungo il "Sentiero della Fede" (CAI n° 162, di cui precedentemente vi avevo descritto il tratto sino a Tualis), che attraversa le mie terre. E' una giornata invernale fredda e tersa, che invita a muoversi durante le ore più calde del giorno. Ne approfitto, lasciando il tempo per lo sci all'indomani ed incamminandomi nella parte alta del paese tra antiche case dai comignoli fumanti in un silenzio assoluto. Il sentiero lascia Ravasceltto in corrispondenza di alcune vecchie costruzioni contadine e si avvicina a degli stavoli pittoreschi: c'è solo la neve ed il cadere di piccole gocce ghiacciate dagli spogli alberi a rompere la quiete. Passo tranquillo davanti ad uno stavolo e d'improvviso mi sento osservato: nell'oscurità interna scorgo le grandi sagome dei bovini quì riparati. Seguiranno altri stavoli nello spoglio bosco; attraverserò la Panoramica delle Vette (di cui vi ho già riferito recentemente) e camminerò abbracciato dalle selve silenziose dove scorrono le acque gelide dei rii che discendono dal gruppo del Crostis, sovrastante.
Pochi passi ancora e raggiungo Zovello, borgata appartenente a Ravascletto, sita in posizione molto panoramica e dominante la piana di Sutrio ed un tratto della Valle del But. Il sole è calato dietro allo Zoncolan, inizia a soffiare un gelido vento proveniente dall'Austria. I colori, le luci, i quadri del bosco, la fredda aria sottile ed ossigenata, il profumo del legno a Sella Valcalda rimangono dentro di me a ricordo di questa passeggiata d'inizio anno.
Buon proseguimento a tutti!
*********************Apro il 2012 con una semplice e rilassante passeggiata lungo il "Sentiero della Fede" (CAI n° 162, di cui precedentemente vi avevo descritto il tratto sino a Tualis), che attraversa le mie terre. E' una giornata invernale fredda e tersa, che invita a muoversi durante le ore più calde del giorno. Ne approfitto, lasciando il tempo per lo sci all'indomani ed incamminandomi nella parte alta del paese tra antiche case dai comignoli fumanti in un silenzio assoluto. Il sentiero lascia Ravasceltto in corrispondenza di alcune vecchie costruzioni contadine e si avvicina a degli stavoli pittoreschi: c'è solo la neve ed il cadere di piccole gocce ghiacciate dagli spogli alberi a rompere la quiete. Passo tranquillo davanti ad uno stavolo e d'improvviso mi sento osservato: nell'oscurità interna scorgo le grandi sagome dei bovini quì riparati. Seguiranno altri stavoli nello spoglio bosco; attraverserò la Panoramica delle Vette (di cui vi ho già riferito recentemente) e camminerò abbracciato dalle selve silenziose dove scorrono le acque gelide dei rii che discendono dal gruppo del Crostis, sovrastante.
Pochi passi ancora e raggiungo Zovello, borgata appartenente a Ravascletto, sita in posizione molto panoramica e dominante la piana di Sutrio ed un tratto della Valle del But. Il sole è calato dietro allo Zoncolan, inizia a soffiare un gelido vento proveniente dall'Austria. I colori, le luci, i quadri del bosco, la fredda aria sottile ed ossigenata, il profumo del legno a Sella Valcalda rimangono dentro di me a ricordo di questa passeggiata d'inizio anno.
Buon proseguimento a tutti!
LOKVICA (SLOVENIA) 5/3/11
Sembra quasi impossibile ritrovare in un territorio relativamente circoscritto la compresenza di elementi afferenti alla storia (Grande Guerra, età asburgica, Seconda Guerra Mondiale), al sentire contemporaneo (l'enorme memoriale in vetta al Cerje), alla vita ed alla tradizione del vivere in Carso (cisterne, pozzi, campi coltivati, esempi d'edilizia spontanea), eppure, i dintorni di Lokvica, ben valorizzati anche grazie a contributi dell'UE, serbano talmente tanti momenti di esplorazione e visita, che l'escursione in quest'angolo del Carso Sloveno a due passi dall'Italia e prospiciente alla piana di Gorizia, risulta del massimo interesse.
L'itinerario anulare, lungo ma non faticoso, si sviluppa perlopiù attraverso carrarecce o strade militari e solo di tanto in tanto s'incontrano degli escursionisti o dei contadini intenti a curare i loro appezzamenti. Si ha, così, la possibilità di camminare per alcune ore nel più totale silenzio, assaporando il respiro invernale del bosco, che riserva sempre il suo fascino: ci soffermiamo ad osservare i resti di un accampamento bellico, di cui, oggi, si rintracciano solo deboli rovine immerse nella boscaglia. Non siamo gli unici a farlo; d'improvviso una famigliola di caprioli sfreccia alle nostre spalle, non impaurita, bensì solo cauta e previdente. Ci sorprende piacevolmente il vederla, poiché l'uscita ne guadagna in suggestione!
Bisogna conoscere questi luoghi isolati e poco frequentati, ma che probabilmente, proprio perchè ignoti ai più, conservano ancora quel fascino e quell'interesse, che il Carso mi riserva da sempre! Somo emozioni e sensazioni, però, che ai più sfuggono clamorosamente, purtroppo!
Sembra quasi impossibile ritrovare in un territorio relativamente circoscritto la compresenza di elementi afferenti alla storia (Grande Guerra, età asburgica, Seconda Guerra Mondiale), al sentire contemporaneo (l'enorme memoriale in vetta al Cerje), alla vita ed alla tradizione del vivere in Carso (cisterne, pozzi, campi coltivati, esempi d'edilizia spontanea), eppure, i dintorni di Lokvica, ben valorizzati anche grazie a contributi dell'UE, serbano talmente tanti momenti di esplorazione e visita, che l'escursione in quest'angolo del Carso Sloveno a due passi dall'Italia e prospiciente alla piana di Gorizia, risulta del massimo interesse.
L'itinerario anulare, lungo ma non faticoso, si sviluppa perlopiù attraverso carrarecce o strade militari e solo di tanto in tanto s'incontrano degli escursionisti o dei contadini intenti a curare i loro appezzamenti. Si ha, così, la possibilità di camminare per alcune ore nel più totale silenzio, assaporando il respiro invernale del bosco, che riserva sempre il suo fascino: ci soffermiamo ad osservare i resti di un accampamento bellico, di cui, oggi, si rintracciano solo deboli rovine immerse nella boscaglia. Non siamo gli unici a farlo; d'improvviso una famigliola di caprioli sfreccia alle nostre spalle, non impaurita, bensì solo cauta e previdente. Ci sorprende piacevolmente il vederla, poiché l'uscita ne guadagna in suggestione!
Bisogna conoscere questi luoghi isolati e poco frequentati, ma che probabilmente, proprio perchè ignoti ai più, conservano ancora quel fascino e quell'interesse, che il Carso mi riserva da sempre! Somo emozioni e sensazioni, però, che ai più sfuggono clamorosamente, purtroppo!
Buon cammino!
Giuliano.
Giuliano.
PREDMEJA (SLOVENIA )1/8/10
Una splendida e tersa giornata d'inizio agosto ci conduce ad esplorare un buon tratto del ciglione carsico sovrastante Ajdovscina, capoluogo della Valle del Vipacco. Lo raggiungiamo, salendo a Predmeja frazione di case sparse, da dove hanno inizio diversi itinerari all'interno della Selva di Tarnova, alcuni dei quali da me già descrittivi in passato.
Sono affascinato ed incuriosito - come molti altri, del resto - dalla grande "finestra" nella roccia, l'Okno, che guarda giù in basso verso la Valle del Vipacco. Le letture e le fotografie di quel luogo hanno da sempre suscitato in me una grande curiosità, sicchè da molto tempo volevo raggiungere questi angoli tanto appartati quanto suggestivi.
L'itinerario, svolto pressochè in totale solitudine, costeggia il ciglione, attraversando fitti boschi, che preludono all'ambiente della Selva di Tarnova, dai quali spuntano isolati casolari e fattorie, segno che l'attività degli allevatori è tuttora attiva. Purtroppo, come spesso accade, i sentieri non sono molto ben segnati in Slovenia, sicchè, l'ultimo breve tratto, quello che conduce al borgo di Otlica, lo percorriamo sulla provinciale, peraltro poco trafficata. Raggiungiamo con soddisfazone il bosco circostante la "finestra", che non vedremo che da ultimo, immersa in una fresca ed ombrosa faggeta. Emoziona il vederla, la sua forma rotondeggiante, le rocce calcaree che la compongono.
Rientreremo a Predmeja, camminando a lungo e scorgendo aspetti di vita rurale autentici: sarà un susseguirsi di prati sfalciati, rustiche abitazioni, verdi ed intatti boschi!
Buona visita,
Giuliano
Una splendida e tersa giornata d'inizio agosto ci conduce ad esplorare un buon tratto del ciglione carsico sovrastante Ajdovscina, capoluogo della Valle del Vipacco. Lo raggiungiamo, salendo a Predmeja frazione di case sparse, da dove hanno inizio diversi itinerari all'interno della Selva di Tarnova, alcuni dei quali da me già descrittivi in passato.
Sono affascinato ed incuriosito - come molti altri, del resto - dalla grande "finestra" nella roccia, l'Okno, che guarda giù in basso verso la Valle del Vipacco. Le letture e le fotografie di quel luogo hanno da sempre suscitato in me una grande curiosità, sicchè da molto tempo volevo raggiungere questi angoli tanto appartati quanto suggestivi.
L'itinerario, svolto pressochè in totale solitudine, costeggia il ciglione, attraversando fitti boschi, che preludono all'ambiente della Selva di Tarnova, dai quali spuntano isolati casolari e fattorie, segno che l'attività degli allevatori è tuttora attiva. Purtroppo, come spesso accade, i sentieri non sono molto ben segnati in Slovenia, sicchè, l'ultimo breve tratto, quello che conduce al borgo di Otlica, lo percorriamo sulla provinciale, peraltro poco trafficata. Raggiungiamo con soddisfazone il bosco circostante la "finestra", che non vedremo che da ultimo, immersa in una fresca ed ombrosa faggeta. Emoziona il vederla, la sua forma rotondeggiante, le rocce calcaree che la compongono.
Rientreremo a Predmeja, camminando a lungo e scorgendo aspetti di vita rurale autentici: sarà un susseguirsi di prati sfalciati, rustiche abitazioni, verdi ed intatti boschi!
Buona visita,
Giuliano
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FUSINE IN VALROMANA (UDINE) 30/10/10
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.Autunno ed inverno sembrano convivere l'uno da un lato l'altro dal lato opposto della SS n° 54 "Della Valromana": i colori impareggiabili delle foglie, dei boschi, dei torrenti e del sottobosco personificano grandiosamente l'atmosfera autunnale sul lato solatio della vallata, mentre il bianco della neve. il marrone della terra, ed il grigio della roccia sono l'emblema dell'inverno, che si manifesta sui versanti più ombrosi della Valromana. E' davvero uno spettacolo impareggiabile.
Raggiungiamo la frontiera di Fusine in una fredda mattina di fine Ottobre, pronti ad incamminarci lungo le boscose pendici del Monte Forno, la cui vetta rappresenta il punto d'incontro dei confini di 3 Stati, l'Italia, l'Austria e la Slovenia. L'ascesa non è breve, ma fortunatamente nemmeno faticosa. Ci addentriamo verso le propaggini del Monte Forno e c'imbattiamo immediatamente presso dei casolari in legno dall'aspetto molto caratteristico abbracciati da prati e boschi. Salendo, senza strappi, si colgono delle belle vedute sulla Piana di Fusine, presso la frontiera; poi, entrati nel bosco, sarà solo un tripudio di abeti, foglie di mille colori adagiate al suolo ricoperto da una coltre di neve intermittente, rocce e resine.
Raggiungiamo, camminando nella neve, l'incrocio con la carrozzabile (un tempo a solo uso militare) del Monte Forno: quì l'ombra prevale, l'altitudine è maggiore e, conseguentemente, la neve è più spessa: ricopre tutto! E', ora, il bianco luminosissimo ed abbagliante, che ci accompagnerà per tutto il resto dell'escursione, ancora lunghissima. Lasciamo delle diramazioni verso la Cappella della Neve e seguiamo il sinuoso percorso della strada militare, che si svela tale, oltre che per il suo andamento, anche per la limitata acclività. Si cammina sempre nel bosco e s'incontra solo un piccolo ristoro.
A pochi passi dalla cima, le costruzioni delle caserme confinarie, oramai dismesse, abbracciate da alti abeti, ci fanno capire che siamo giunti ai 3 Confini. D'improvviso il bosco sembra fermarsi, per dar spazio, sul lato austriaco, alle distese erbose ed alle piste da sci. Il panorama è incomparabile, soprattutto verso l'Austria, poiché nelle rimanenti direzioni esso è limitato dal bosco. Bello è il cippo in pietra e legno, che segna l'intersezione dei 3 Stati. Lo sguardo abbraccia tutta la piana di Arnoldstein, allo sbocco della Valle del Gail, ed il Dobratsch, il monte simbolo di Villach.
Lasciamo l'Italia ed entriamo in Austria. Raggiunti le stazioni a monte degl'impianti di risalita ed il rifugio d'appoggio, ci riporteremo nel bosco. Se sin quì abbiamo incontrato rari escursionisti, d'ora in poi, lungo tutto l'itinerario attraverso il versante austriaco, non incontreremo più nessuno. La neve è abbondante, procederemo lentamente e faticosamente, poichè si sprofonda e si scivola, ma la gioia per le atmosfere che respiriamo, per la silente bellezza del bosco e per i superbi panorami è immensa!
Il sole inizia a scendere, le ombre si fanno più lunghe. D'un tratto scorgiamo il Wurzenpaß (del cui museo militare vi ho riferito in una precedente corrispondenza): siamo ancora molto in alto ed il tracciato del sentiero a tratti dev'essere indovinato a causa della neve. Un meraviglioso fungo velenoso e dei funghi in legno cresciuti su un ceppo ricoperto dalla neve sono delle cartoline da immortalare, nonostante il ghiaccio faccia scivolare.
Fa freddo, quando raggiungiamo il Wurzenpaß, attraversato solo da qualche autovettura frontaliera. Scendiamo a Podkoren, il primo villaggio sloveno, dove i camini già sono fumanti e si respira il buon odore di legna arsa. Da lì dobbiamo proseguire per la frontiera con l'Italia, che raggiungeremo, quando oramai sarà buio.
Dall'estremità NE d'Italia l'augurio di un buon cammino!
Giuliano.
Raggiungiamo la frontiera di Fusine in una fredda mattina di fine Ottobre, pronti ad incamminarci lungo le boscose pendici del Monte Forno, la cui vetta rappresenta il punto d'incontro dei confini di 3 Stati, l'Italia, l'Austria e la Slovenia. L'ascesa non è breve, ma fortunatamente nemmeno faticosa. Ci addentriamo verso le propaggini del Monte Forno e c'imbattiamo immediatamente presso dei casolari in legno dall'aspetto molto caratteristico abbracciati da prati e boschi. Salendo, senza strappi, si colgono delle belle vedute sulla Piana di Fusine, presso la frontiera; poi, entrati nel bosco, sarà solo un tripudio di abeti, foglie di mille colori adagiate al suolo ricoperto da una coltre di neve intermittente, rocce e resine.
Raggiungiamo, camminando nella neve, l'incrocio con la carrozzabile (un tempo a solo uso militare) del Monte Forno: quì l'ombra prevale, l'altitudine è maggiore e, conseguentemente, la neve è più spessa: ricopre tutto! E', ora, il bianco luminosissimo ed abbagliante, che ci accompagnerà per tutto il resto dell'escursione, ancora lunghissima. Lasciamo delle diramazioni verso la Cappella della Neve e seguiamo il sinuoso percorso della strada militare, che si svela tale, oltre che per il suo andamento, anche per la limitata acclività. Si cammina sempre nel bosco e s'incontra solo un piccolo ristoro.
A pochi passi dalla cima, le costruzioni delle caserme confinarie, oramai dismesse, abbracciate da alti abeti, ci fanno capire che siamo giunti ai 3 Confini. D'improvviso il bosco sembra fermarsi, per dar spazio, sul lato austriaco, alle distese erbose ed alle piste da sci. Il panorama è incomparabile, soprattutto verso l'Austria, poiché nelle rimanenti direzioni esso è limitato dal bosco. Bello è il cippo in pietra e legno, che segna l'intersezione dei 3 Stati. Lo sguardo abbraccia tutta la piana di Arnoldstein, allo sbocco della Valle del Gail, ed il Dobratsch, il monte simbolo di Villach.
Lasciamo l'Italia ed entriamo in Austria. Raggiunti le stazioni a monte degl'impianti di risalita ed il rifugio d'appoggio, ci riporteremo nel bosco. Se sin quì abbiamo incontrato rari escursionisti, d'ora in poi, lungo tutto l'itinerario attraverso il versante austriaco, non incontreremo più nessuno. La neve è abbondante, procederemo lentamente e faticosamente, poichè si sprofonda e si scivola, ma la gioia per le atmosfere che respiriamo, per la silente bellezza del bosco e per i superbi panorami è immensa!
Il sole inizia a scendere, le ombre si fanno più lunghe. D'un tratto scorgiamo il Wurzenpaß (del cui museo militare vi ho riferito in una precedente corrispondenza): siamo ancora molto in alto ed il tracciato del sentiero a tratti dev'essere indovinato a causa della neve. Un meraviglioso fungo velenoso e dei funghi in legno cresciuti su un ceppo ricoperto dalla neve sono delle cartoline da immortalare, nonostante il ghiaccio faccia scivolare.
Fa freddo, quando raggiungiamo il Wurzenpaß, attraversato solo da qualche autovettura frontaliera. Scendiamo a Podkoren, il primo villaggio sloveno, dove i camini già sono fumanti e si respira il buon odore di legna arsa. Da lì dobbiamo proseguire per la frontiera con l'Italia, che raggiungeremo, quando oramai sarà buio.
Dall'estremità NE d'Italia l'augurio di un buon cammino!
Giuliano.
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MONTE CROSTIS - RAVASCLETTO (UDINE) 2/10/11
Siamo soliti riunirci in questo periodo, per effettuare una bell'escursione tra le montagne della Carnia o dell'Alto Friuli. C'incontriamo sempre con estremo piacere e siamo sempre impazienti di misurarci sui sentieri che conducono alle panoramiche vette di confine. Quest'anno abbiamo scelto un itinerario poco faticoso ma assai remunerativo dal punto di vista ambientale; il cui punto di partenza è raggiungibile senza difficoltà, appena da qualche mese, risalendo la tortuosa, storica e lunga "Panoramica delle Vette", carrozzabile militare costruita nel periodo della Grande Guerra, quando quassù non risuonavano il rumore del vento, lo scampanellio delle pecore od il silenzio assoluto e quasi ovattato della neve, bensì le cannonate ed i colpi d'artiglieria di eserciti contrapposti.
Da Malga Chiadinis si diparte il sentiero n° 151, che senza strappi conduce in 45' alla vetta del Crostis. Si cammina lungo i fianchi erbosi e nudi della montagna, a quote attorno ai duemila metri! E' una giornata splendida, molto calda per il periodo, sicchè camminiamo ammirando tutti gli scorci panoramici verso la Val Degano, la Val Pesarina, la zona di Ravascletto e, dalla cima, verso il Coglians, le Alpi Cadorine e la Carinzia. Sono immagini che restano negl'occhi a lungo! Fantastica è la visione su una valle glaciale sottostante la vetta, dove chiarissimi sono i segni lasciati dal ghiacciaio in ritirata decine di migliaia di anni fa!
Ridiscendiamo a Casera Crostis, dove ad accoglierci ci sono le deliziose genziane ed un cospicuo gregge di pecore al pascolo.
Completeremo l'anello della "Panoramica delle Vette", portandoci a Ravascletto, dove, in un ambiente a me assai caro, concluderemo con della gustosissima gastronomia!
Mandi,
Giuliano
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Da Malga Chiadinis si diparte il sentiero n° 151, che senza strappi conduce in 45' alla vetta del Crostis. Si cammina lungo i fianchi erbosi e nudi della montagna, a quote attorno ai duemila metri! E' una giornata splendida, molto calda per il periodo, sicchè camminiamo ammirando tutti gli scorci panoramici verso la Val Degano, la Val Pesarina, la zona di Ravascletto e, dalla cima, verso il Coglians, le Alpi Cadorine e la Carinzia. Sono immagini che restano negl'occhi a lungo! Fantastica è la visione su una valle glaciale sottostante la vetta, dove chiarissimi sono i segni lasciati dal ghiacciaio in ritirata decine di migliaia di anni fa!
Ridiscendiamo a Casera Crostis, dove ad accoglierci ci sono le deliziose genziane ed un cospicuo gregge di pecore al pascolo.
Completeremo l'anello della "Panoramica delle Vette", portandoci a Ravascletto, dove, in un ambiente a me assai caro, concluderemo con della gustosissima gastronomia!
Mandi,
Giuliano
SANKT MORITZ (SVIZZERA) 24/4/11
Ritorno, finalmente, in Svizzera, Paese che ammiro molto e cui sono molto affezionato. La meta del viaggio è la Ferrovia del Bernina, celeberrimo, arditissimo e spettacolare itinerario nel Cantone dei Grigioni / Graubünden, che è un must di ogni viaggio nell'affascinante territorio della Confederazione Elvetica.
Partiamo da Tirano (SO), cittadina della media Valtellina alla confluenza d'importanti strade alpine: Stelvio, Bernina, Aprica. Si entra subito in Svizzera, a Campocologno e s'inizia a risalire, inizialmente in contesto aperto e solatio, quindi in situazione vieppiù severa, la lunga e tortuosa Valle di Poschiavo. I prati ed i boschi caratterizzano la bassa e media valle, ingentilita dal grande invaso naturale di Poschiavo e da paesi lindi e tranquilli, tra le cui vie si evincono le testimonianze di antiche ed incredibili lotte religiose, ovvero di un'economia ancora spiccatamente agreste. Dopo Poschiavo i prati scompaiono, per dar spazio a selve impenetrabili e lussureggianti, entro le quali la ferrovia s'inerpica tortuosamente e lentamente; belle le finestre naturali che si aprono tra la vegetazione sulla sottostante Valle di Poschiavo. Quando compaiono i primi alpeggi, gli scenari mutano sensibilmente: gradualmente il bosco si dirada e predominano i prati d'alta quota, subito soppiantati dalle rocce, dalle nevi e dai ghiacci, che ricoprono tutto, regalando un autentico tuffo nell'inverno.
Il Lago Bianco, nelle cui acque si riflette la sagoma del Gruppo del Bernina, prelude al Passo omonimo, il punto più alto dell'itinerario. Il paesaggio, bianco, è brullo, fa freddo, ma l'atmosfera è ineguagliabile. Questo è il regno del silenzio, della neve, del ghiaccio, delle acque e degli sciatori, che si mettono alla prova nelle discese della Diavolezza. Sorpassiamo lo spartiacque (Mar Adriatico - Mar Nero) e ridiscendiamo verso Pontresina e Sankt Moritz. Piano piano i ghiacci e la neve lasciano spazio ai prati ed ai boschi, che s'incuneano in idilliache vallate, bagnate da ruscelli che formano belle cascate. Pontresina è il centro principale della vallata e la sua architettura è tipica. Qualche chilometro appena e raggiungiamo Sankt Moritz, località di villeggiatura internazionalmente nota per il turismo d'elite. Invero, sebbene il sito sia apprezzabile dal punto di vista ambientale, manca l'atmosfera di abitato alpino. Non mancano, però, i motivi per una sosta: lo sport e la cultura la rendono un'interessante destinazione turistica.
Anche stavolta la Svizzera mi ha sorpreso, incantato e rigenerato con i suoi paesaggi, i suoi ambienti, le sue atmosfere. Lo ha fatto anche in chi mi accompagnava, che in Confederazione Elvetica non c'era stata mai.
Arrivederci Svizzera!
Ritorno, finalmente, in Svizzera, Paese che ammiro molto e cui sono molto affezionato. La meta del viaggio è la Ferrovia del Bernina, celeberrimo, arditissimo e spettacolare itinerario nel Cantone dei Grigioni / Graubünden, che è un must di ogni viaggio nell'affascinante territorio della Confederazione Elvetica.
Partiamo da Tirano (SO), cittadina della media Valtellina alla confluenza d'importanti strade alpine: Stelvio, Bernina, Aprica. Si entra subito in Svizzera, a Campocologno e s'inizia a risalire, inizialmente in contesto aperto e solatio, quindi in situazione vieppiù severa, la lunga e tortuosa Valle di Poschiavo. I prati ed i boschi caratterizzano la bassa e media valle, ingentilita dal grande invaso naturale di Poschiavo e da paesi lindi e tranquilli, tra le cui vie si evincono le testimonianze di antiche ed incredibili lotte religiose, ovvero di un'economia ancora spiccatamente agreste. Dopo Poschiavo i prati scompaiono, per dar spazio a selve impenetrabili e lussureggianti, entro le quali la ferrovia s'inerpica tortuosamente e lentamente; belle le finestre naturali che si aprono tra la vegetazione sulla sottostante Valle di Poschiavo. Quando compaiono i primi alpeggi, gli scenari mutano sensibilmente: gradualmente il bosco si dirada e predominano i prati d'alta quota, subito soppiantati dalle rocce, dalle nevi e dai ghiacci, che ricoprono tutto, regalando un autentico tuffo nell'inverno.
Il Lago Bianco, nelle cui acque si riflette la sagoma del Gruppo del Bernina, prelude al Passo omonimo, il punto più alto dell'itinerario. Il paesaggio, bianco, è brullo, fa freddo, ma l'atmosfera è ineguagliabile. Questo è il regno del silenzio, della neve, del ghiaccio, delle acque e degli sciatori, che si mettono alla prova nelle discese della Diavolezza. Sorpassiamo lo spartiacque (Mar Adriatico - Mar Nero) e ridiscendiamo verso Pontresina e Sankt Moritz. Piano piano i ghiacci e la neve lasciano spazio ai prati ed ai boschi, che s'incuneano in idilliache vallate, bagnate da ruscelli che formano belle cascate. Pontresina è il centro principale della vallata e la sua architettura è tipica. Qualche chilometro appena e raggiungiamo Sankt Moritz, località di villeggiatura internazionalmente nota per il turismo d'elite. Invero, sebbene il sito sia apprezzabile dal punto di vista ambientale, manca l'atmosfera di abitato alpino. Non mancano, però, i motivi per una sosta: lo sport e la cultura la rendono un'interessante destinazione turistica.
Anche stavolta la Svizzera mi ha sorpreso, incantato e rigenerato con i suoi paesaggi, i suoi ambienti, le sue atmosfere. Lo ha fatto anche in chi mi accompagnava, che in Confederazione Elvetica non c'era stata mai.
Arrivederci Svizzera!
KAZLJE (SLOVENIA) 6/2/11
E' un autentico tuffo all'indietro di 40-50 anni, quello che sperimentiamo, recandoci a percorrere il lungo ed affascinante anello dei borghi della Val Rasa. E' la prima domenica di Febbraio, incredibilmente mite e soleggiata, quella che scegliamo per intraprendere un itinerario solitario, denso di emozioni culturali e paesaggistiche, che non poco ci sorprenderanno per gli scenari, la quiete, la solitudine, gl'incontri ed i panorami quasi d'altri tempi: sarà proprio questo ad arricchirci al nostro ritorno a Kazlje.
Partiamo dal villaggio carsico, puntando subito all'antico castelliere sovrastante il villaggio addormentato della domenica mattina: toccare e camminare sulle antiche mura difensive del vasto e grande abitato preistorico è una sensazione unica, soprattutto ammirando, oltre il bosco, i villaggi della Val Rasa, abbarbicati al costone che ci accingiamo a risalire.
Scendiamo, percorrendo la traccia nel bosco ceduo, nella valle sottostante e, solo da ultimo, tra gli spogli alberi in veste invernale, ammiriamo lo stupore della Val Rasa, il lungo solco che sembra spezzare l'altopiano carsico. Tanto audaci quanto sporadiche fioriture ci attendono lungo la carrareccia, che la percorre tutta. In breve raggiungiamo i casolari Gorupi, dove un solitario contadino in compagnia del suo Lassie ci accoglie dapprima con aria titubante, poi, capito che siamo degli escursionisti, c'illustra le particolarità della zona, accompagnandoci assieme al suo cane per un buon pezzo lungo la valle laterale disseminata dai resti degli antichi mulini. Parliamo in inglese con lui, che ci racconta del luogo, ci conduce nei punti più suggestivi della valle, per poi lasciarci all'imbocco dell'erto sentiero che porta in quota. Il suo Lassie ci conduce attraverso antichi tracciati, ci attende, ci annusa, gioca con noi! Quanto è genuino quest'occasionale incontro!
Fa incredibilmente caldo, quando risaliamo il versante dell'erto colle sul quale sorge Stomaz, il primo dei borghi della Val Rasa. Vi osserviamo delle belle costruzioni dall'aspetto rustico: tra queste si nascondono fontane in pietra ed affascinanti attrezzi agricoli. Non c'è quasi nessuno in paese, nè lungo il nostro cammino. C'immergiamo nuovamente nel silente bosco, attraversando valloni e sbucando, da ultimo, nell'idilliaco borgo di Poljane, un pugno di raccolte case antiche e restaurate, circondate da pascoli e campi coltivati da favola. La pace, l'integrità ambientale, l'osservare un paio di agricoltori prendersi cura dei loro appezzamenti al cospetto del lontano Nanos, ci fa apprezzare enormemente questa particolare atmosfera, dove i motori, i veicoli e la frenesia della vita quotidiana sono bandite! Proseguiamo il nostro cammino e raggiungiamo Bogo, altra minuscola frazione della Val Rasa: alcuni agricoltori, alle porte del villaggio stanno curando il loro campo, mentre dei cani abbaiano al nostro ingresso nel villaggio. Una donna c'invita a curiosare nella sua legnaia, tanto rustica quanto elegante: è un'altra occasione per assaporare quest'atmosfera rurale unica!
Lasciamo Bogo, per dirigerci verso Stjak, il villaggio più grande e più lontano del nostro circuito. Un capriolo attira la nostra attenzione! Raggiungiamo Stjak, alti sulla Val Rasa: da quassù è possibile osservare le alture del Carso Sloveno cosiccome quelle più imponenti delle Selve di Tarnova, oltre la Valle del Vipacco. Il silenzio, la pace e la tranquillità regnano incontrastate. Raggiungiamo la suggestiva ed antica chiesa del villaggio, circondata da antiche costruzioni perlopiù rimaneggiate.
Il sole si avvia al tramonto ed è ora di ridiscendere in Val Rasa; la raggiungeremo al termine di una ripida discesa, toccando Mahnici, allorquando una sottile foschia starà per avvolgere la fredda e silente valle. Il camino fumante di una piccola e raccolta casa racconta di un inverno non ancora trascorso, sebbene il sole abbia riscaldato a sufficienza nelle ore più calde. Raggiungeremo Kazlje, quando ormai sarà buio, illuminati solo dalla tersa luce di un fantastico tramonto invernale.
Buon cammino,
Giuliano
CAVE DEL PREDIL (UDINE) 27/6/09
E' una meta nuova, sebbene conosciuta ai più, la zona di Cave del Predil, non lontano da Tarvisio, Comune all'estremo NE d'Italia. La novità consiste nella visita alle miniere, di cui il toponimo tradisce l'esistenza, in quanto, sebbene dismesse da decenni; l'apertura al pubblico risale a pochi mesi fa! Vi si giunge comodamente dal Capoluogo, risalendo la Valle di Riofreddo, all'ombra delle Punte di Raibl, in un contesto ambientale rimarchevole e suggestivo. A tanta amenità ambientale non corrisponde, però, altrettanta suggestione circa l'abitato di Cave del Predil, piccolo agglomerato sorto in mera funzione degli scopi lavorativi e d'esercizio della miniera, sicchè le architetture sono alquanto anonime e poco confacenti all'ambiente alpino e montano in genere. Osservarne, però, la struttura aiuta a comprendere ed a conoscere particolari della vita di chi vi ha lavorato. Oggi, comunque, il villaggio dei minatori presenta un carattere assai dismesso, che poco esemplifica la faticosa e dura vita della comunità, che per secoli ha operato nel settore estrattivo.
Alle porte del villaggio si trova il Lago del Predil, il maggior lago naturale del Friuli - Venezia Giulia, da dove, una stretta strada porta al sovrastante confine di Predil, da dove si entra in Slovenia e si scende la Val Coritenza, la più profonda del Paese, all'ombra del superbo Mangart.Raggiunta la frazione di Log pod Mangrtom, merita la breve deviazione all'imbocco della galleria della Miniera di Predil, oggi chiusa ed allagata, poichè attraversata dal Confine di Stato.
L'escursione prosegue per la Chiusa di Plezzo (Kluze) e per il Giardino botanico di Trenta, di cui, però, ho già riferito in precedenza.
Buona visita e Glück auf!
E' una meta nuova, sebbene conosciuta ai più, la zona di Cave del Predil, non lontano da Tarvisio, Comune all'estremo NE d'Italia. La novità consiste nella visita alle miniere, di cui il toponimo tradisce l'esistenza, in quanto, sebbene dismesse da decenni; l'apertura al pubblico risale a pochi mesi fa! Vi si giunge comodamente dal Capoluogo, risalendo la Valle di Riofreddo, all'ombra delle Punte di Raibl, in un contesto ambientale rimarchevole e suggestivo. A tanta amenità ambientale non corrisponde, però, altrettanta suggestione circa l'abitato di Cave del Predil, piccolo agglomerato sorto in mera funzione degli scopi lavorativi e d'esercizio della miniera, sicchè le architetture sono alquanto anonime e poco confacenti all'ambiente alpino e montano in genere. Osservarne, però, la struttura aiuta a comprendere ed a conoscere particolari della vita di chi vi ha lavorato. Oggi, comunque, il villaggio dei minatori presenta un carattere assai dismesso, che poco esemplifica la faticosa e dura vita della comunità, che per secoli ha operato nel settore estrattivo.
Alle porte del villaggio si trova il Lago del Predil, il maggior lago naturale del Friuli - Venezia Giulia, da dove, una stretta strada porta al sovrastante confine di Predil, da dove si entra in Slovenia e si scende la Val Coritenza, la più profonda del Paese, all'ombra del superbo Mangart.Raggiunta la frazione di Log pod Mangrtom, merita la breve deviazione all'imbocco della galleria della Miniera di Predil, oggi chiusa ed allagata, poichè attraversata dal Confine di Stato.
L'escursione prosegue per la Chiusa di Plezzo (Kluze) e per il Giardino botanico di Trenta, di cui, però, ho già riferito in precedenza.
Buona visita e Glück auf!
PASSO CASON DI LANZA (UDINE) 10/7/11
Il valico, al confine tra le amministrazioni di Paularo e Pontebba, è sempre stato un luogo remoto di non semplice accesso, sia per le strette e tortuose strade militari che vi conducono, sia per le frane incombenti, che ne limitano l'avvicinamento. Stavolta, in una splendida domenica estiva, vi risaliamo, percorrendo la Val Pontebbana, selvaggia e suggestiva al tempo stesso. Sono tanti gli escursionisti a Cason di Lanza, poichè da lì si dipartono sentieri di diversa difficoltà. L'anello delle malghe di Cason di Lanza è semplice, eccetto per un tratto esposto tra Casera di Aip e Casera Caserutte, attraversa i pascoli ed i prati dell'Altopiano di Lanza e regala fantastici scorci sullo Zermula, sulla Creta di Aip e sulla valle sospesa di Aip. L'incontro con un malgaro a Casera di Aip rende ancora più interessante e viva l'escursione, riferendoci egli di alcuni aspetti della vita del comprensorio. Tanto immense quanto inattese sono le distese di pino mugo, che ricoprono i versanti meridionali della Creta di Aip, ai piedi della quale si cammina a lungo, cosiccome inattese sono le numerosissime tane delle marmotte, che incrociamo lungo il nostro cammino.
Raggiungeremo Cason di Lanza contenti ed un po' stanchi: lì ci concederemo una gustosa cena di montagna. Converseremo, ripercorreremo con la mente ai luoghi appena visitati, c'immedesideremo nei racconti del malgaro di Aip, rideremo e ci rilasseremo. Partiremo da Cason di Lanza alle 21.30, quando solo una tenuissima luce dell'ultimo tramonto illuminerà il cielo. Non ci sarà più nessuno sul passo: solo il fresco della sera ed il silenzio delle montagne. Ridiscendendo verso Pontebba, verremo bloccati da una mandria di mucche intenta, assieme al suo guardiano, a riguadagnare le stalle delle casere dell'Altopiano di Lanza!
Buon cammino!
Il valico, al confine tra le amministrazioni di Paularo e Pontebba, è sempre stato un luogo remoto di non semplice accesso, sia per le strette e tortuose strade militari che vi conducono, sia per le frane incombenti, che ne limitano l'avvicinamento. Stavolta, in una splendida domenica estiva, vi risaliamo, percorrendo la Val Pontebbana, selvaggia e suggestiva al tempo stesso. Sono tanti gli escursionisti a Cason di Lanza, poichè da lì si dipartono sentieri di diversa difficoltà. L'anello delle malghe di Cason di Lanza è semplice, eccetto per un tratto esposto tra Casera di Aip e Casera Caserutte, attraversa i pascoli ed i prati dell'Altopiano di Lanza e regala fantastici scorci sullo Zermula, sulla Creta di Aip e sulla valle sospesa di Aip. L'incontro con un malgaro a Casera di Aip rende ancora più interessante e viva l'escursione, riferendoci egli di alcuni aspetti della vita del comprensorio. Tanto immense quanto inattese sono le distese di pino mugo, che ricoprono i versanti meridionali della Creta di Aip, ai piedi della quale si cammina a lungo, cosiccome inattese sono le numerosissime tane delle marmotte, che incrociamo lungo il nostro cammino.
Raggiungeremo Cason di Lanza contenti ed un po' stanchi: lì ci concederemo una gustosa cena di montagna. Converseremo, ripercorreremo con la mente ai luoghi appena visitati, c'immedesideremo nei racconti del malgaro di Aip, rideremo e ci rilasseremo. Partiremo da Cason di Lanza alle 21.30, quando solo una tenuissima luce dell'ultimo tramonto illuminerà il cielo. Non ci sarà più nessuno sul passo: solo il fresco della sera ed il silenzio delle montagne. Ridiscendendo verso Pontebba, verremo bloccati da una mandria di mucche intenta, assieme al suo guardiano, a riguadagnare le stalle delle casere dell'Altopiano di Lanza!
Buon cammino!
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BAD EISENKAPPEL (AUSTRIA) 7/8/10
Storia e Natura s'intrecciano in quest'itinerario alla scoperta di un angolo assai poco conosciuto della Carinzia SE. Sono le storie ed i racconti del Novecento, all'indomani della Grande Guerra, quando si era intenti a ridefinire i confini nazionali, ovvero le meraviglie delle spelonche delle Karawanken, la catena montuosa che segna la linea di demarcazione con la Slovenia, i fili conduttori di una gita che si svolge in una giornata estiva fredda e piovosa.
Apprendiamo, così, da un appassionato storico le dinamiche sociali, economiche e politiche che hanno caratterizzato il periodo immediatamente successivo alla Grande Guerra, quando questi territori e queste popolazioni vennero interessate dal Plebiscito del 1920, che sancì l'attuale ripartizione territoriale ed amministrativa. Un interessante museo, a Völkermarkt, cittadina nella Valle della Drava, ne ripercorre e ne racconta le dinamiche, tanto sconosciute quanto interessanti, portando alla luce aspetti tanto inediti quanto sorprendenti.
Riavvicinandoci alla frontiera slovena, raggiungiamo la frazione sparsa di Bad Eisenkappel, dove gli abitanti parlano perlopiù lo sloveno; il tedesco, invece, pur essendo la lingua ufficiale, è praticato in minor misura. Ciò crea - in chi non conosce la lingua della minoranza, come me - delle difficoltà di comunicazione. Quassù, inerpicandosi lungo i pendii scoscesi dell'Obir tra selve selvagge e quasi impenetrabili, raggiungiamo le omonime grotte: si tratta di un'interessante commistione tra miniere e caverne, dove gli aspetti geologici ed economici vengono raccontati ed enfatizzati sapientemente, attraverso giochi di luci, musiche e video.
Venite a scoprire con me quest'interessante angolo della Carinzia meridionale!
Ich wünsche euch "eine angenehme Besichtigung"!
Giuliano
Storia e Natura s'intrecciano in quest'itinerario alla scoperta di un angolo assai poco conosciuto della Carinzia SE. Sono le storie ed i racconti del Novecento, all'indomani della Grande Guerra, quando si era intenti a ridefinire i confini nazionali, ovvero le meraviglie delle spelonche delle Karawanken, la catena montuosa che segna la linea di demarcazione con la Slovenia, i fili conduttori di una gita che si svolge in una giornata estiva fredda e piovosa.
Apprendiamo, così, da un appassionato storico le dinamiche sociali, economiche e politiche che hanno caratterizzato il periodo immediatamente successivo alla Grande Guerra, quando questi territori e queste popolazioni vennero interessate dal Plebiscito del 1920, che sancì l'attuale ripartizione territoriale ed amministrativa. Un interessante museo, a Völkermarkt, cittadina nella Valle della Drava, ne ripercorre e ne racconta le dinamiche, tanto sconosciute quanto interessanti, portando alla luce aspetti tanto inediti quanto sorprendenti.
Riavvicinandoci alla frontiera slovena, raggiungiamo la frazione sparsa di Bad Eisenkappel, dove gli abitanti parlano perlopiù lo sloveno; il tedesco, invece, pur essendo la lingua ufficiale, è praticato in minor misura. Ciò crea - in chi non conosce la lingua della minoranza, come me - delle difficoltà di comunicazione. Quassù, inerpicandosi lungo i pendii scoscesi dell'Obir tra selve selvagge e quasi impenetrabili, raggiungiamo le omonime grotte: si tratta di un'interessante commistione tra miniere e caverne, dove gli aspetti geologici ed economici vengono raccontati ed enfatizzati sapientemente, attraverso giochi di luci, musiche e video.
Venite a scoprire con me quest'interessante angolo della Carinzia meridionale!
Ich wünsche euch "eine angenehme Besichtigung"!
Giuliano
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TSCHEPPASCHLUCHT - FERLACH (AUSTRIA) 13/6/10
A ridosso della frontiera con la Slovenia, appartata tra le cime delle Karawanken, si trova l'interessante e pittoresca forra Tscheppaschlucht, attraversata da un divertente sentiero e da un ponte sospeso. E' il corso del torrente Loiblbach a bagnare la stretta gola scavata tra le vette delle Karawanken e che, oggi, è attraversata dall'interessante e pittoresco sentiero che la percorre interamente. Si inizia costeggiando il torrente, che scorre inizialmente placido e turchese tra il bosco. Poi, risalendo, si superano alcuni promontori e gole mediante l'ausilio di scale, pontili sospesi e tratti scavati nella roccia. Il corso del Loiblbach si fa vieppiù impetuoso e tormentato: il fragore dell'acqua aumenta d'intensità e l'ambiente si fa vieppiù suggestivo, selvaggio e severo. D'un tratto, una scala a chioccola in acciaio permette di risalire un balzo del Loiblbach -in corrispondenza dell'intersezione con la strada federale, che percorre l'intera vallata scendendo dal confine a Ferlach - godendo di uno dei tratti più spettacolari della Tscheppaschlucht. Un ponte sospeso (Teufelsbrücke), che si attraversa in tutta sicurezza, consente di avere un'invidiabile vista sulla forra. Appena superatolo, si è alla grande cascata Tschaukofall, che precipita spumeggiante e rumorosa tra le rocce e la vegetazione, creando un quadro ambientale davvero idilliaco.
Da questo punto, lentamente si risale, uscendo dalla Tscheppaschlucht, camminando lungo dei bei boschi cedui, dove le specie floreali non mancheranno di suggestionare!
Il sentiero esce in corrispondenza della strada locale per la Bodental, caratterizzata da pittoresche case sparse, in cui è spiccato l'aspetto rurale e montano. Quassù la Natura ha in serbo ancora 3 sorprese, degne di essere ammirate ed assolutamente tralasciate: la prima è rappresentata dal Meerauge, fantastico laghetto incastonato nel bosco, impreziosito dal colore turchese e limpidissimo dell'acqua, grazie all'assenza di alghe. Si prosegue, quindi, verso una Gasthof, preannunciata da un enorme tiglio, che annovera l'età di 374 anni! Infine, portandosi verso le Karawanken, ci attendono i prati Marchenwiese, dove gli abeti, le distese prative e le rocce di fondovalle creano una cornice unica con le imponenti ed altissime vette delle Karawanken poste al nostro cospetto, in quadro ambientale d'eccellenza!
Eine schöne Wanderung!
Giuliano
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ROCCA BERNARDA (UDINE) 3/4/11
L'ingresso nel Cividalese ha luogo attraversando le distese campagne, che lambiscono i Colli Orientali dl Friuli. E' una zona assai fertile, in cui vi sono praticate intensivamente la vitivinicoltura e l'agricoltura. Qualche colle, verso O, interrompe lo spazio pianeggiante. La strada turistica di Rocca Bernarda s'inoltra nella boscaglia e raggiunge in breve l'altopiano sul quale sorge, isolatissima, la grande costruzione rurale omonima. A stupire, prima ancora dell'edificato, è il bel parco, abbracciato dalle distese di vigneti e da uliveti, quindi i maestosi cipressi secolari, che preludono all'ingresso nel castello. La costruzione è cinquecentesca e desta particolare interesse la cinta muraria con le torri angolari, la piccola cappella e gli edifici rustici, oggi trasformati in suggestiva cantina.
Abbinata all'escursione ai borghi di Dolegna del Collio, di cui vi ho già riferito, la visita consente di avere una bella panoramica sulla realtà agreste del Collio e del Cividalese, 2 territori contermini.
Mandi e prosit a tutti!
Giuliano
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WURZENPAß (AUSTRIA) 25/10/08
Ai piedi dei "3 confini" (A-I-SLO), sul pendio che sovrasta il Wurzenpaß, valico che delimita i territori di Austria e Slovenia, nascosto in un bosco di larici ed abeti, si cela l'interessante Museo dei Bunker. Si tratta di un originale esposizione volta ad esemplificare il tema della guerra, ovvero dei sistemi difensivi delle frontiere durante gli accadimenti storici del Novecento. I concetti di confine e di Stato sono posti al centro della visita al Bunkermuseum. Sistemi di trincee, baraccamenti e camminamenti protetti accolgono i visitatori, dando così l'idea della vita militare di frontiera. Si entra, poi, nei bunker corazzati, ove sono esposte mitragliere ed impressionanti esemplari di carri armati di fattura tipicamente orientale. Desta timore e colpisce indubbiamente l'attenzione le sagome imponenti di questi veicoli militari. Altre postazioni mimetizzate attendono fuori dalle costruzioni blindate, completando quello che è (stato) un inafferrabile sistema difensivo. Esemplificazioni di campi minati, reticolati, barriere stradali e garitte di guardia poste lungo le linee di frontiera costituiscono degl'altri elementi emblematici di questa realtà di confine. Un video - in sola lingua tedesca - racconta le ultime azioni militari atte a vigilare lungo i confini meridionali dell'Austria: sono gli episodi accaduti all'inizio degl'Anni 90 del Novecento, quando si assistette alla dissoluzione della Jugoslavia e vennero sparati gli ultimi colpi d'arme lungo questa frontiera. Dopodichè, gradualmente il sito del Wurzenpaß venne allestito quale museo militare, come oggi appare.
Più in basso, lungo la statale che porta in Slovenia, emblematici monumenti e pietre di demarcazione suggeriscono ai pochi visitatori l'opportunità di conoscere aspetti decisamente inconsueti delle "mie" amatissime montagne.
Rifletteremo e commenteremo di quanto visitato, al termine dell'interessante giornata, seduti attorno ad un rustico tavolo della Gasthaus ubicata proprio sulla frontiera, ascoltando la tradizionale musica pop austriaca, che apprezzo.
Auf Wiedersehen!
Giuliano
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KÖTSCHACH-MAUTHEN (AUSTRIA) 23/7/11
Il grigio sarà il colore dominante di questo sabato di fine Luglio: la pioggia sarà spesso presente durante il nostro viaggio alla volta della Carinzia, tanto quanto le nuvole minacciose. Ciononostante, risaliremo il Reißeck, a 2245 m s.l.m., assaporando l'aria frizzante e godendo degli impianti di risalita (cremagliera e trenino a scartamento ridotto), che ci permetteranno di raggiungere il bel contesto naturale d'alta quota, caratterizzato da cime impervie e brulle e dai laghi artificiali di Mühldorf. Percorreremo il semplice sentiero anulare, che, dalla stazione a monte della ferrovia, conduce ai bacini caratterizzati dalle alte dighe. Poi, d'improvviso, le nuvole avvolgeranno noi e le montagne circostanti, attribuendo all'ambiente una veste tipicamente autunnale.
Varcheremo la frontiera con l'Italia a Plöckenpaß, incredibile passaggio lungo le Alpi Carniche, da me assai ben conosciuto, non prima di esserci soffermati a Kötschach-Mauthen, paese della Valle del Gail, dove - oltre alle emergenze della Mauthnerklamm di cui vi ho già riferito tempo addietro - l'interesse storico è rappresentato dal Museo della Grande Guerra, che racconta tramite una validissima documentazione (fotografie, plastici, oggettistica, diorami e ricostruzioni) la vita di trincea sul "Fronte Carnia".
Infine, una deliziosa cena carinziana in un locale dall'eccellente ospitalità concluderà egregiamente la giornata in Carinzia, turbata solo parzialmente dal maltempo.
Auf Wiedersehen!
Giuliano
Il grigio sarà il colore dominante di questo sabato di fine Luglio: la pioggia sarà spesso presente durante il nostro viaggio alla volta della Carinzia, tanto quanto le nuvole minacciose. Ciononostante, risaliremo il Reißeck, a 2245 m s.l.m., assaporando l'aria frizzante e godendo degli impianti di risalita (cremagliera e trenino a scartamento ridotto), che ci permetteranno di raggiungere il bel contesto naturale d'alta quota, caratterizzato da cime impervie e brulle e dai laghi artificiali di Mühldorf. Percorreremo il semplice sentiero anulare, che, dalla stazione a monte della ferrovia, conduce ai bacini caratterizzati dalle alte dighe. Poi, d'improvviso, le nuvole avvolgeranno noi e le montagne circostanti, attribuendo all'ambiente una veste tipicamente autunnale.
Varcheremo la frontiera con l'Italia a Plöckenpaß, incredibile passaggio lungo le Alpi Carniche, da me assai ben conosciuto, non prima di esserci soffermati a Kötschach-Mauthen, paese della Valle del Gail, dove - oltre alle emergenze della Mauthnerklamm di cui vi ho già riferito tempo addietro - l'interesse storico è rappresentato dal Museo della Grande Guerra, che racconta tramite una validissima documentazione (fotografie, plastici, oggettistica, diorami e ricostruzioni) la vita di trincea sul "Fronte Carnia".
Infine, una deliziosa cena carinziana in un locale dall'eccellente ospitalità concluderà egregiamente la giornata in Carinzia, turbata solo parzialmente dal maltempo.
Auf Wiedersehen!
Giuliano
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TUALIS (UDINE) 4/6/11
La semplice passeggiata conduce, attraverso luoghi assai poco frequentati, dalla celebre Ravascletto, paese al quale sono affettivamente assai legato, al borgo di Tualis, situato nel territorio di Comeglians, alto sulla Val Degano. Si tratta di una porzione del "Sentiero della Fede", recentemente riattivato, ma poco percorso. Si cammina senza alcuna difficoltà attraverso le selve che ammantano silenziose le falde del Monte Pezzet, che quì sono attraversate da piste forestali. Durante il cammino si ha modo di osservare episodi spontanei dell'architettura carnica (fienili), antichi abbeveratoi e lavatoi (ad Alnetto), i rustici che compongono le frazioni in quota e, da ultimo, torrenti che fuoriescono improvvisamente dai boschi.
Il territorio, purtroppo, è soggetto a frane ed a continui cedimenti, assai evidenti a Salars, sicchè il sentiero non è più percorribile nei pochi metri precedenti l'arrivo a Tualis. Anche in quest'ultima frazione sono evidenti i segni dell'abbandono e dello spopolamento tipico delle zone rurali e della montagna, sebbene alcuni rustici ed alcune antiche case siano state restaurate.
Da Tualis - come pure da Ravascletto - ha inizio la strada militare detta "Panoramica delle Vette", la quale doveva essere percorsa appena qualche decina di giorni fa dai ciclisti del Giro d'Italia. Un'improvvisa ed inspiegata rinuncia non è stata ben accolta - giustamente - dai villici, i quali hanno manifestato il proprio disappunto con striscioni appesi lungo le viuzze e nella piazza della linda frazione di Tualis: anche questo è uno spaccato della vita di montagna!
Buona passeggiata a tutti,
Giuliano
La semplice passeggiata conduce, attraverso luoghi assai poco frequentati, dalla celebre Ravascletto, paese al quale sono affettivamente assai legato, al borgo di Tualis, situato nel territorio di Comeglians, alto sulla Val Degano. Si tratta di una porzione del "Sentiero della Fede", recentemente riattivato, ma poco percorso. Si cammina senza alcuna difficoltà attraverso le selve che ammantano silenziose le falde del Monte Pezzet, che quì sono attraversate da piste forestali. Durante il cammino si ha modo di osservare episodi spontanei dell'architettura carnica (fienili), antichi abbeveratoi e lavatoi (ad Alnetto), i rustici che compongono le frazioni in quota e, da ultimo, torrenti che fuoriescono improvvisamente dai boschi.
Il territorio, purtroppo, è soggetto a frane ed a continui cedimenti, assai evidenti a Salars, sicchè il sentiero non è più percorribile nei pochi metri precedenti l'arrivo a Tualis. Anche in quest'ultima frazione sono evidenti i segni dell'abbandono e dello spopolamento tipico delle zone rurali e della montagna, sebbene alcuni rustici ed alcune antiche case siano state restaurate.
Da Tualis - come pure da Ravascletto - ha inizio la strada militare detta "Panoramica delle Vette", la quale doveva essere percorsa appena qualche decina di giorni fa dai ciclisti del Giro d'Italia. Un'improvvisa ed inspiegata rinuncia non è stata ben accolta - giustamente - dai villici, i quali hanno manifestato il proprio disappunto con striscioni appesi lungo le viuzze e nella piazza della linda frazione di Tualis: anche questo è uno spaccato della vita di montagna!
Buona passeggiata a tutti,
Giuliano
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MERANO (BZ) 19-20/6/10
All'incirca una decina d'anni fa, quando feci visita assieme a degli amici all'elegante cittadina dell'Alto Adige, non era ancora possibile visitare il Castel Trauttmansdorff, posto in periferia e divenuto in breve tempo assai celebre per lo stupendo giardino botanico, che attira annualmente centinaia di visitatori.
Ci concediamo, così, alcuni giorni nel cuore di un'estate assai irregolare ed imprevedibile dal punto di vista climatico e, purtroppo, trascorreremo tutta la nostra breve permanenza a Merano sotto una pioggia battente, che porterà con sè anche la prima neve ed un brusco abbassamento della temperatura. Ciononostante, saranno lo spirito del viaggio - come sempre -, la curiosità della visita e lo stare assieme a rendere piacevole il soggiorno ed a contrastare efficacemente l'atmosfera uggiosa e fuori stagione, che caratterizzerà la nostra esperienza meranese.
Risalire con il convoglio diretto a München (D) la Valle dell'Adige, scorgendo lo scorrere dell'impetuoso e gonfio fiume, il susseguirsi di paesi, città e frazioni all'ombra delle Alpi dapprima Trentine e quindi Tirolesi e l'osservare l'ergersi di maestosi castelli, monumenti ed ossari sui costoni delle montagne, cosiccome il dispiegarsi di una vegetazione mutevole e della colture della vite e della mela alle porte dei centri abitati è molto interessante e suggestivo. Da Bolzano un comodo e pulito treno locale conduce a Merano, la nostra destinazione, risalendo un'ulteriore porzione della Val'd'Adige, quì caratterizzata dalla presenza di agglomerati più raccolti, abbracciati da vasti meleti.
Passeggiamo per l'elegante e deserto centro di Merano, da soli: non c'è nessuno a popolare le eleganti vie della cittadina. L'incessante pioggia, accompagnata da raffiche di vento, non invita ad animare le vie del centro, così, forse proprio grazie al maltempo, possiamo godere dell'elegante atmosfera "fin de siecle", che le architetture, l'impianto urbanistico ed il tessuto urbano ancora trasmettono. Il Fiume Passirio ci farà compagnia con le sue acque vorticose, gonfie per l'abbondante pioggia, riservando un aspetto tutt'altro che invitante. Cammineremo per le Passeggiate, poi per le viuzze recondite aggrappate alle montagne e, quindi, per le armoniose piazze di Merano, solitari; proprio questo, però, ci garantirà di vedere la cittadina in un'inusuale prospettiva, che commenteremo alla sera davanti ad una gustosa gastronomia.
L'indomani il cielo rimarrà grigio, ma la visita allo spettacolare Castello Trauttmansdorff ed al suo meraviglioso giardino, avverrà in quasi completa solitudine ed avremo tutto il tempo per soffermarci ad ammirare le meravigliose espressioni che la Natura ha creato attraverso le variegate forme vegetazionali.
Rientreremo dall'Alto Adige bagnati, senz'altro, ma contenti di aver visto anche la neve imbiancare le vette di Merano 2000, appartenenti alle Alpi Retiche!
Buona visita!
Giuliano
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VENCO' (GORIZIA) 3/4/11
Un percorso tracciato e riattato recentemente dal CAI consente, da poco tempo, di percorrere l'intero territorio del comune di Dolegna del Collio, caratterizzato sia da una sensibile antropizzazione sia da una viticoltura molto presente, che talvolta ha sconvolto la morfologia del territorio ed il suo paesaggio boschivo, sul quale, sovente, ha preso il sopravvento.
Ciononostante, l'escursione è interessante e permette di raggiungere angoli inesplorati e poco conosciuti delle colline confinali, transitando accanto a casolari, chiesette, raccolte frazioni ed attraversando zone coltivate e boscaglie, in cui si camminerà in totale solitudine per ore intere. Fatta fuori stagione (sconsigliabile è il periodo estivo, a causa dell'afa e dell'opprimente calura che caratterizza il Collio). l'escursione offre dei reconditi ma apprezzabili motivi d'interesse!
Alla fine, il rifocillarsi con una gustosissima gastronomia renderà appagati degli sforzi e delle esperienze vissute camminando per il lembo di Collio italiano; durante tutta la gita, ad ogni modo, la mente non potrà non effettuare delle comparazioni con i ricordi di quanto visto e visitato durante la precedente escursione attraverso la Brda, il Collio Sloveno. Comunque, ne sarà valsa la pena!
Un brindisi alla gita ed al Collio!
Giuliano
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BRESSANONE (BZ) 8/12/10
Nonostante il freddo, non troppo pungente, e l'atmosfera metereologicamente bigia e poco invitante ad effettuare degli spostamenti, risaliamo la Valle dell'Adige e, quindi la Valle dell'Isarco - nel cuore dell'Alto Adige/Süd Tirol - intenti a visitare i celebri Mercatini di Natale di Bressanone, suggestiva cittadina alla confluenza con la Val Pusteria.
Le aspettative non verranno fortunatamente disattese, poiché - come vuole la tradizione austriaca - tutto è organizzato al meglio e l'atmosfera di festa si respira gradevolmente per le strade e le piazze del paese. C'è tempo, prima che l'oscurità scenda su Bressanone, per visitarne le emergenze artistiche e monumentali, che sono davvero di pregio.
Poi, nella piazza principale della cittadina s'illuminano le luci, le decorazioni, si respirano gli odori del cibo e dei dolci natalizi cucinati nelle composte bancarelle in legno. Colori e luci dei gingilli scintillano allo sguardo interessato dei passanti, attratti anche dall'artigianato locale, che espone pezzi davvero ben fatti!
Alla sera, sarà solo la neve, che ricopre le vette delle Alpi Atesine, a luccicare ancora nell'oscurità della piazza di Bressanone, dove, ormai, le sole luci natalizie renderanno l'atmosfera tipicamente festaiola, tipicamente natalizia!
Buone cose e serene Feste a tutti!
Giuliano
Nonostante il freddo, non troppo pungente, e l'atmosfera metereologicamente bigia e poco invitante ad effettuare degli spostamenti, risaliamo la Valle dell'Adige e, quindi la Valle dell'Isarco - nel cuore dell'Alto Adige/Süd Tirol - intenti a visitare i celebri Mercatini di Natale di Bressanone, suggestiva cittadina alla confluenza con la Val Pusteria.
Le aspettative non verranno fortunatamente disattese, poiché - come vuole la tradizione austriaca - tutto è organizzato al meglio e l'atmosfera di festa si respira gradevolmente per le strade e le piazze del paese. C'è tempo, prima che l'oscurità scenda su Bressanone, per visitarne le emergenze artistiche e monumentali, che sono davvero di pregio.
Poi, nella piazza principale della cittadina s'illuminano le luci, le decorazioni, si respirano gli odori del cibo e dei dolci natalizi cucinati nelle composte bancarelle in legno. Colori e luci dei gingilli scintillano allo sguardo interessato dei passanti, attratti anche dall'artigianato locale, che espone pezzi davvero ben fatti!
Alla sera, sarà solo la neve, che ricopre le vette delle Alpi Atesine, a luccicare ancora nell'oscurità della piazza di Bressanone, dove, ormai, le sole luci natalizie renderanno l'atmosfera tipicamente festaiola, tipicamente natalizia!
Buone cose e serene Feste a tutti!
Giuliano
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TRAKOSCAN (CROAZIA) 7-8/5/11
Penso, che ciascuno di Voi, durante la propria infanzia abbia immaginato, leggendo o guardando le rappresentazioni delle favole e degli aneddoti in cui si racconta di storie fantastiche ambientate in immaginari manieri, un "castello delle favole", dall'architettura elegante e spettacolare al tempo stesso, immerso in un ambiente "da favola", ossia quasi irreale, con boschi, laghetti, giardini.
L'arrivo a Trakoscan, sperduta e poco conosciuta località della Croazia Settentrionale, rappresenta l'avverarsi, il concretizzarsi di un pensiero e di un'immagine solo ipotizzata, solo fantasticata.
Il colpo d'occhio sul fortilizio è eccezionale da qualunque prospettiva lo si scorga, complici l'architettura elegante, slanciata, ma mai oppressiva, e l'ambiente naturale, caratterizzato dalle propaggini collinari dello Zagorje, ammantate da selve inesplorate, quì ingentilite dal corso del Fiume Bednja, adattato a lago artificiale, nelle cui acque il castello si specchia.
Avvicinandovicisi, superata la vallata in cui passa l'autostrada che collega la Capitale alla Slovenia, si percorre una strada stretta e sinuosa immersa tra i boschi, che si addentra nel sistema collinare, in cui la vegetazione - ed è questo ciò che mi ha colpito - assume un aspetto tipicamente alpino: infatti, si noteranno senza difficoltà, esemplari di pini e larici, che usualmente crescono ad altezze maggiori e sono tipici della zona alpina.
D'improvviso - e non si avrà modo di scorgerlo prima - sulla cima di un colle svetta imponente e suggestivo il Castello di Trakoscan; la sua visita implica il dedicarsi alla visita dei sontuosi ed apparati interni cosiccome una camminata lungo la pista forestale, che contorna il lago ed il corso del Fiume Bednja.
Oltre al contesto naturale d'indubbia valenza, il visitatore resterà favorevolmente impresso dalla semplicità e dalla peculiarità delle sale che compongono un maniero, riaperto recentemente all'usufruibilità pubblica, e di cui pochi ne conoscono l'esistenza, posto com'è all'infuori delle principali vie di comunicazione.
Completata la visita a Trakoscan, c'inoltriamo per qualche decina di km all'interno dello Zagorje, ove faremo tappa nella cittadina di Krapina, celeberrima destinazione per gli appassionati di preistoria: quassù, infatti, sull'altura che sovrasta il tranquillo centro, sono stati rinvenuti i resti dell'Uomo di Neandertal, alla fine dell'Ottocento. Un moderno e completo museo consente di effettuare un autentico tuffo nel tempo, venendo a conoscenza sia delle dinamiche della comunità preistorica, sia del significato e del riflesso che tale scoperta ha avuto sulla società moderna e,poi, contemporanea.
Da questi luoghi ameni e sconosciuti ai più, un caro saluto a tutti!
Giuliano.-
Penso, che ciascuno di Voi, durante la propria infanzia abbia immaginato, leggendo o guardando le rappresentazioni delle favole e degli aneddoti in cui si racconta di storie fantastiche ambientate in immaginari manieri, un "castello delle favole", dall'architettura elegante e spettacolare al tempo stesso, immerso in un ambiente "da favola", ossia quasi irreale, con boschi, laghetti, giardini.
L'arrivo a Trakoscan, sperduta e poco conosciuta località della Croazia Settentrionale, rappresenta l'avverarsi, il concretizzarsi di un pensiero e di un'immagine solo ipotizzata, solo fantasticata.
Il colpo d'occhio sul fortilizio è eccezionale da qualunque prospettiva lo si scorga, complici l'architettura elegante, slanciata, ma mai oppressiva, e l'ambiente naturale, caratterizzato dalle propaggini collinari dello Zagorje, ammantate da selve inesplorate, quì ingentilite dal corso del Fiume Bednja, adattato a lago artificiale, nelle cui acque il castello si specchia.
Avvicinandovicisi, superata la vallata in cui passa l'autostrada che collega la Capitale alla Slovenia, si percorre una strada stretta e sinuosa immersa tra i boschi, che si addentra nel sistema collinare, in cui la vegetazione - ed è questo ciò che mi ha colpito - assume un aspetto tipicamente alpino: infatti, si noteranno senza difficoltà, esemplari di pini e larici, che usualmente crescono ad altezze maggiori e sono tipici della zona alpina.
D'improvviso - e non si avrà modo di scorgerlo prima - sulla cima di un colle svetta imponente e suggestivo il Castello di Trakoscan; la sua visita implica il dedicarsi alla visita dei sontuosi ed apparati interni cosiccome una camminata lungo la pista forestale, che contorna il lago ed il corso del Fiume Bednja.
Oltre al contesto naturale d'indubbia valenza, il visitatore resterà favorevolmente impresso dalla semplicità e dalla peculiarità delle sale che compongono un maniero, riaperto recentemente all'usufruibilità pubblica, e di cui pochi ne conoscono l'esistenza, posto com'è all'infuori delle principali vie di comunicazione.
Completata la visita a Trakoscan, c'inoltriamo per qualche decina di km all'interno dello Zagorje, ove faremo tappa nella cittadina di Krapina, celeberrima destinazione per gli appassionati di preistoria: quassù, infatti, sull'altura che sovrasta il tranquillo centro, sono stati rinvenuti i resti dell'Uomo di Neandertal, alla fine dell'Ottocento. Un moderno e completo museo consente di effettuare un autentico tuffo nel tempo, venendo a conoscenza sia delle dinamiche della comunità preistorica, sia del significato e del riflesso che tale scoperta ha avuto sulla società moderna e,poi, contemporanea.
Da questi luoghi ameni e sconosciuti ai più, un caro saluto a tutti!
Giuliano.-
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MÖDERNDORF BEI HERMAGOR (AUSTRIA) 26/9/09
Nascosta tra le pieghe delle Alpi confinali, la forra del Garnitzenbach è davvero assai pittoresca e divertente risulta essere il suo percorrerla: è un susseguirsi di ponti, scale, camminamenti scavati nella roccia, risalite nei freschi boschi di faggi e latifoglie, che già anticipano qua e là l'autunno imminente. E' una splendida domenica il giorno in cui raggiungiamo la gola alle porte di Hermagor, il capoluogo della Valle del Gail/Gailtal. I chiaroscuri, le ombre allungate, i colori del bosco che preannunciano l'imminente autunno e l'aria un po' frizzante rendono l'escursione alquanto appagante e suggestiva.
Un sentiero, invero difficile, costeggia a lungo il torrente, che serpeggia rumoroso tra le pieghe della montagna, regalando viste assai suggestive con un percorso divertente e pittoresco. Il corso d'acqua è il protagonista indiscusso della giornata, sebbene le rocce incombenti, i boschi, le radici e gl'impervi versanti della montagna costituiscano una valenza paesaggistica d'indubbio valore.
Non nascondo, che durante l'escursione la mia mente è andata ad immaginare il terrificante spettacolo avvenuto appena un lustro prima, quando tutta questa regione confinale venne devastata dall'alluvione del 29/8/04, causando danni considerevoli sia all'ambiente sia ai villaggi della vallata.
Ora pare non rimanervi quasi traccia, fortunatamente!
Usciti dalla forra, una pista forestale riporta verso Möderndorf, nel bosco, da dove squarci tra la vegetazione regalano incommensurabili vedute sulla Garnitzenklamm appena percorsa. Un'isolata rustica chiesetta, alta sulla gola ed immersa in uno spettacolare bosco, è un ulteriore motivo d'interesse e di sosta, prima di riguadagnare il fondovalle.
Degli splendidi esemplari di funghi tanto velenosi quanto pittoreschi c'inducono ad una sosta prolungata, per godere del contesto ambientale, che indubbiamente è fra i più interessanti: l'animo del viandante non può che rasserenarsi, arricchirsi, purificarsi dinnanzi ad un simile ambiente!
Raggiungeremo il fondovalle, quando ormai sarà già buio fitto.
Buon'escursione!
Giuliano.-
Nascosta tra le pieghe delle Alpi confinali, la forra del Garnitzenbach è davvero assai pittoresca e divertente risulta essere il suo percorrerla: è un susseguirsi di ponti, scale, camminamenti scavati nella roccia, risalite nei freschi boschi di faggi e latifoglie, che già anticipano qua e là l'autunno imminente. E' una splendida domenica il giorno in cui raggiungiamo la gola alle porte di Hermagor, il capoluogo della Valle del Gail/Gailtal. I chiaroscuri, le ombre allungate, i colori del bosco che preannunciano l'imminente autunno e l'aria un po' frizzante rendono l'escursione alquanto appagante e suggestiva.
Un sentiero, invero difficile, costeggia a lungo il torrente, che serpeggia rumoroso tra le pieghe della montagna, regalando viste assai suggestive con un percorso divertente e pittoresco. Il corso d'acqua è il protagonista indiscusso della giornata, sebbene le rocce incombenti, i boschi, le radici e gl'impervi versanti della montagna costituiscano una valenza paesaggistica d'indubbio valore.
Non nascondo, che durante l'escursione la mia mente è andata ad immaginare il terrificante spettacolo avvenuto appena un lustro prima, quando tutta questa regione confinale venne devastata dall'alluvione del 29/8/04, causando danni considerevoli sia all'ambiente sia ai villaggi della vallata.
Ora pare non rimanervi quasi traccia, fortunatamente!
Usciti dalla forra, una pista forestale riporta verso Möderndorf, nel bosco, da dove squarci tra la vegetazione regalano incommensurabili vedute sulla Garnitzenklamm appena percorsa. Un'isolata rustica chiesetta, alta sulla gola ed immersa in uno spettacolare bosco, è un ulteriore motivo d'interesse e di sosta, prima di riguadagnare il fondovalle.
Degli splendidi esemplari di funghi tanto velenosi quanto pittoreschi c'inducono ad una sosta prolungata, per godere del contesto ambientale, che indubbiamente è fra i più interessanti: l'animo del viandante non può che rasserenarsi, arricchirsi, purificarsi dinnanzi ad un simile ambiente!
Raggiungeremo il fondovalle, quando ormai sarà già buio fitto.
Buon'escursione!
Giuliano.-
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DOBROVO (SLOVENIA) 6/6/10
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E' un itinerario particolare quello percorso per attraversare il Brda / Collio Sloveno, all'infuori di sentieri segnati, transitando per silenziosi villaggi perlopiù arroccati sulle colline, dalle quali si producono rinomati vini e gustosissime ciliegie, e connessi tra di loro da carrarecce. Le memorie storiche sono abbastanza contenute, sebbene questa zona fosse stata al centro dei cruenti combattimenti avvenuti durante la Grande Guerra; abbondano, invece, le caratteristiche rurali ed agricole, che trovano espressione negli estesi vigneti e nelle coltivazioni d'alberi da frutto che si lambiscono durane l'escursione, cosiccome nell'edificato dei paesi formato da antiche case restaurate, che ospitano gli elementi tipici dell'edilizia carsica e friulana. Al termine dell'escursione perveniamo a Dobrovo una delle frazioni maggiori del Collio Sloveno, ove si trova la più grande cantina del comprensorio e dove si celebra la Festa delle Ciliegie: oggi, la via principale del paese è un tripudio di gente intenta ad assistere alla sfilata dei carri agricoli ricchi di ciliegie ed addobbati secondo la consuetudine contadina, ovvero illustranti gli aspetti ed i mestieri della stessa: è una festa suggestiva, assai semplice, che vuole valorizzare la cultura e le peculiarità economiche del territorio.
Buona visita a tutti!
Giuliano.-
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E' un itinerario particolare quello percorso per attraversare il Brda / Collio Sloveno, all'infuori di sentieri segnati, transitando per silenziosi villaggi perlopiù arroccati sulle colline, dalle quali si producono rinomati vini e gustosissime ciliegie, e connessi tra di loro da carrarecce. Le memorie storiche sono abbastanza contenute, sebbene questa zona fosse stata al centro dei cruenti combattimenti avvenuti durante la Grande Guerra; abbondano, invece, le caratteristiche rurali ed agricole, che trovano espressione negli estesi vigneti e nelle coltivazioni d'alberi da frutto che si lambiscono durane l'escursione, cosiccome nell'edificato dei paesi formato da antiche case restaurate, che ospitano gli elementi tipici dell'edilizia carsica e friulana. Al termine dell'escursione perveniamo a Dobrovo una delle frazioni maggiori del Collio Sloveno, ove si trova la più grande cantina del comprensorio e dove si celebra la Festa delle Ciliegie: oggi, la via principale del paese è un tripudio di gente intenta ad assistere alla sfilata dei carri agricoli ricchi di ciliegie ed addobbati secondo la consuetudine contadina, ovvero illustranti gli aspetti ed i mestieri della stessa: è una festa suggestiva, assai semplice, che vuole valorizzare la cultura e le peculiarità economiche del territorio.
Buona visita a tutti!
Giuliano.-
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STOLVIZZA DI RESIA (UD) - 17/7/10
La Val Resia è un'isolata vallata dell'Alto Friuli, che per secoli, a causa della sua difficoltosa accessibilità, ha mantenuto isolate le raccolte comunità slave, che la popolano, preservandone la parlata, la cultura e le tradizioni. Uno dei percorsi più interessanti e nuovi, che abbinano l'interesse escursionistico a quello culturale è dato dal Sentiero Naturalistico "Ta lipa pot", che si diparte da Stolvizza di Resia. Prima d'intraprenderlo, decidiamo di portarci nell'interessante e piccolo Museo dell'Arrotino, scoprendo, così, una particolarità economica e sociale della comunità valligiana di Resia.
Ritornati sui nostri passi, intraprendiamo, nonostante il caldo torrido, l'itinerario anulare di 10 km, che può essere accorciato dopo il transito sul pontile del Rio Malicen. Illustreremo, in allegato esente da virus, l'intero percorso, che ci ha regalato refrigerio, bei panorami, serenità d'animo e l'occasione di conversare con 2 turiste tedesche, che da Köln hanno deciso di vistare questo tanto recondito quanto suggestivo angolo della montagna friulana. Loro, come noi, porteremo a casa un quadro fatto di fredde acque, impenetrabili boschi, piccoli pascoli, case dirute e dimore restaurate, dove ad accoglierci ci sono il boscaiolo ed il suo fido cane.
Sarà a fine giornata, attorno ad una tavola imbandita di un'eccellente gastronomia, che ripercorreremo mentalmente i luoghi attraversati.
Buon cammino!
Giuliano.
La Val Resia è un'isolata vallata dell'Alto Friuli, che per secoli, a causa della sua difficoltosa accessibilità, ha mantenuto isolate le raccolte comunità slave, che la popolano, preservandone la parlata, la cultura e le tradizioni. Uno dei percorsi più interessanti e nuovi, che abbinano l'interesse escursionistico a quello culturale è dato dal Sentiero Naturalistico "Ta lipa pot", che si diparte da Stolvizza di Resia. Prima d'intraprenderlo, decidiamo di portarci nell'interessante e piccolo Museo dell'Arrotino, scoprendo, così, una particolarità economica e sociale della comunità valligiana di Resia.
Ritornati sui nostri passi, intraprendiamo, nonostante il caldo torrido, l'itinerario anulare di 10 km, che può essere accorciato dopo il transito sul pontile del Rio Malicen. Illustreremo, in allegato esente da virus, l'intero percorso, che ci ha regalato refrigerio, bei panorami, serenità d'animo e l'occasione di conversare con 2 turiste tedesche, che da Köln hanno deciso di vistare questo tanto recondito quanto suggestivo angolo della montagna friulana. Loro, come noi, porteremo a casa un quadro fatto di fredde acque, impenetrabili boschi, piccoli pascoli, case dirute e dimore restaurate, dove ad accoglierci ci sono il boscaiolo ed il suo fido cane.
Sarà a fine giornata, attorno ad una tavola imbandita di un'eccellente gastronomia, che ripercorreremo mentalmente i luoghi attraversati.
Buon cammino!
Giuliano.
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POSTOJNA / POSTUMIA (SLOVENIA) 15/6/08
E' una calda e variabile giornata di metà Giugno, il giorno in cui decidiamo di visitare il celebre e vasto complesso ipogeo del Carso Sloveno, posto alle porte di Postojna / Postumia, lungo la via per Ljubljana / Lubiana, la Capitale. Lo spettacolo è assicurato!
Quì la splendida architettura delle acque ha creato, nel corso dei secoli, sculture di superba bellezza dalle forme strabilianti e sempre diverse, capaci di soprendere ed incantare le folle di visitatori, che da ogni dove giungono quassù durante tutto l'anno, per ammirare l'episodio più emblematico e conosciuto di quel complesso fenomeno detto "Carsismo".
Tutto inizia in età preistorica, quando le caverne venivano stabilmente utilizzate quale ricovero e rifugio. Risalgono ben al 13° secolo le iscrizioni dei primi visitatori, abbagliati dalla bellezza del luogo. Già allora le tumultuose e vorticose acque del Fiume Piuvka, spumeggiando, s'inabissavano nel complessi ipogeo, creando uno spettacolo tanto suggestivo quanto - soprattutto a quell'epoca - inquietante. Sarà, però solo nell'Ottocento, che Postumia verrà studiata ed indagata approfonditamente, portando alla luce i grandi saloni e le spelndide architetture celate nell'oscurità. E' il periodo della nascita della speleologia e della trasformazione in "bene turistico" delle grotte, che verranno attrezzate con un piccolo trenino, al fine di agevolarne l'esplorazione.
Oggi, la visita è quantomai interessante, come allora, anche grazie alla sapiente illuminazione ed alla facilità d'accesso e di movimento all'interno del complesso ipogeo; ad attenderci centinaia di concrezioni, forme e colori, il rumore della Pivka, oltre alle storie correlate al sito.
Buona visita e buon cammino attraverso la più grande grotta del Carso!
Giuliano
E' una calda e variabile giornata di metà Giugno, il giorno in cui decidiamo di visitare il celebre e vasto complesso ipogeo del Carso Sloveno, posto alle porte di Postojna / Postumia, lungo la via per Ljubljana / Lubiana, la Capitale. Lo spettacolo è assicurato!
Quì la splendida architettura delle acque ha creato, nel corso dei secoli, sculture di superba bellezza dalle forme strabilianti e sempre diverse, capaci di soprendere ed incantare le folle di visitatori, che da ogni dove giungono quassù durante tutto l'anno, per ammirare l'episodio più emblematico e conosciuto di quel complesso fenomeno detto "Carsismo".
Tutto inizia in età preistorica, quando le caverne venivano stabilmente utilizzate quale ricovero e rifugio. Risalgono ben al 13° secolo le iscrizioni dei primi visitatori, abbagliati dalla bellezza del luogo. Già allora le tumultuose e vorticose acque del Fiume Piuvka, spumeggiando, s'inabissavano nel complessi ipogeo, creando uno spettacolo tanto suggestivo quanto - soprattutto a quell'epoca - inquietante. Sarà, però solo nell'Ottocento, che Postumia verrà studiata ed indagata approfonditamente, portando alla luce i grandi saloni e le spelndide architetture celate nell'oscurità. E' il periodo della nascita della speleologia e della trasformazione in "bene turistico" delle grotte, che verranno attrezzate con un piccolo trenino, al fine di agevolarne l'esplorazione.
Oggi, la visita è quantomai interessante, come allora, anche grazie alla sapiente illuminazione ed alla facilità d'accesso e di movimento all'interno del complesso ipogeo; ad attenderci centinaia di concrezioni, forme e colori, il rumore della Pivka, oltre alle storie correlate al sito.
Buona visita e buon cammino attraverso la più grande grotta del Carso!
Giuliano
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MUGGIA (TRIESTE) 17/4/10
La manifestazione "Castelli Aperti", organizzata un paio di volte all'anno, permette di visitare alcuni manieri, che usualmente non sono visitabili, poichè diproprietà privata. Capita, così, di usufruire di una domenica primaverile, per visitare un fortilizio, che indubbiamente nasconde tra le sue mura storie e curiosità degne di nota, che vengono svelate ai visitatori dall'amabile castellana, come nel caso del castello di Muggia, cittadina alle porte di Trieste, al confine con la Slovenia.
Il tempo, un po' incerto, sembra ottimale per questo genere di visite. Raggiungiamo Muggia via mare, con l'aliscafo che la collega al Capoluogo. Nelle acque si riflettono le case dei pescatori e la grande muraglia in arenaria del fortilizio. Risaliamo le calli del borgo istro-veneto ed in breve perveniamo all'ingresso della fortificazione: ad accoglierci un verdggiante e raccolto giardino, un silenzio quasi irreale e, ovviamente, la buona ospitalità della padrona di casa.
Sarà lei, cone le sue parole ed i suoi semplici racconti, ad accompagnarci per le stanzee gl'interni del castello, riattato nel 1981, dopo parecchio tempo di abbandono. La semplicità e la genuità degl'interni fa trasparire la puntigliosa ricerca dell'elemento tradizionale, ovvero di ricostruire quell'atmosfera medievale, che si respirava quì. Una sosta nel piccolo giardino ci permette di godere della bella barbariga, oltre la quale bello è il panorama sulla sottostante Muggia e, più inlà, sulle alture carsiche.
Buona visita!
La manifestazione "Castelli Aperti", organizzata un paio di volte all'anno, permette di visitare alcuni manieri, che usualmente non sono visitabili, poichè diproprietà privata. Capita, così, di usufruire di una domenica primaverile, per visitare un fortilizio, che indubbiamente nasconde tra le sue mura storie e curiosità degne di nota, che vengono svelate ai visitatori dall'amabile castellana, come nel caso del castello di Muggia, cittadina alle porte di Trieste, al confine con la Slovenia.
Il tempo, un po' incerto, sembra ottimale per questo genere di visite. Raggiungiamo Muggia via mare, con l'aliscafo che la collega al Capoluogo. Nelle acque si riflettono le case dei pescatori e la grande muraglia in arenaria del fortilizio. Risaliamo le calli del borgo istro-veneto ed in breve perveniamo all'ingresso della fortificazione: ad accoglierci un verdggiante e raccolto giardino, un silenzio quasi irreale e, ovviamente, la buona ospitalità della padrona di casa.
Sarà lei, cone le sue parole ed i suoi semplici racconti, ad accompagnarci per le stanzee gl'interni del castello, riattato nel 1981, dopo parecchio tempo di abbandono. La semplicità e la genuità degl'interni fa trasparire la puntigliosa ricerca dell'elemento tradizionale, ovvero di ricostruire quell'atmosfera medievale, che si respirava quì. Una sosta nel piccolo giardino ci permette di godere della bella barbariga, oltre la quale bello è il panorama sulla sottostante Muggia e, più inlà, sulle alture carsiche.
Buona visita!
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TINJAN / ANTIGNANO (SLOVENIA) 28/3/10
L'arrivo dell'attesa primavera ci viene manifestato dal rigoglio dei fiori e dalle fronde invidiabili del salice piangente in una tiepida ed assolata domenica di fine Marzo, quando raggiungiamo Crociata, frazione di poche case lambita dalla frontiera con la Slovenia. Scegliamo d'intraprendere la parte susseguente all'itinerario di Socerb, che vi descrissi tempo addietro ed avente come punto d'arrivo l'abitato di Osp, posto in posizione spettacolare nella valle dell'omonimo torrente; stavolta, infatti, risaliamo il monte di Tinjan, che chiude a meridione la Valle di Osp, godendo di un bell'ambiente naturale. Raggiunta la cima, ove sorge il raccolto villaggio di Tinjan, il panorama è superbo, spaziando dal Castello di Socerb, al Carso, al Golfo di Trieste, alla Valle del Rizana. Nel ridiscendere, percorriamo strade forestali e sentieri poco battuti, ma resi suggestivi dalla pace e dal silenzio del bosco, tant'è, che indugiamo a tal punto, che raggiungeremo Osp e, poi, Crociata quando ormai il buio domina tutta la zona. Siamo contenti di aver trascorso all'aria aperta questa domenica, toccando angoli appartati e dall'intenso carattere, che rigenerano lo spirito di ogni camminatore al rientro da un'escursione.
Un buon bicchiere di vino e dei gustosi affettati ci consentono di concludere in allegria le ore trascorse assieme, in semplicità.
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VAL SAISERA (UDINE) 18/10/09
L'anello che si diparte dalla Val Saisera e che conduce sulla Cima del Cacciatore è un percorso lungo e faticoso, ma che consente di godere di panorami superbi e di angoli di un'estrema suggestione, che solo le montagne sanno regalare a chi vi si appassiona. Il primo tratto del percorso risale per prati e boschi cedui le pendici meridionali della Cima del Cacciatore, seguendo delle piste forestali. E' mattino presto quando intraprendiamo questo percorso: l'aria è molto frizzante, le nuvole devoino ancora diradarsi, sebbene il tempo previsto non sia ottimale! Prima d'intraprendere la salita, sostiamo presso il greto di un torrente, da dove la visione sulla parete settentrionale del Grande Nabois è tanto suggestiva qunato impressionante! Chiazze di neve residua fanno comprendere come quassù le ore di sole non siano molte e, soprattutto, come le temperature siano decisamente basse durante tutto l'anno.
Giungiamo a Sella Prasnig dopo aver attraversato dei bei boschi, dai colori cangianti. Quì ha inizio laparte più faticosa dell'itinerario, pocihè il sentiero si fa più stretto e s'inerpica faticosamente lungo le pendici del Cacciatore, regno dei camosci, che d'improvviso vediamo muoversi tranquillamente lungo ripide pietraie. Più su, delle rocce strapiombanti nascondono la cime della montagna. Il cielo d'improvviso si annuvola e, guadagnando la vetta, che si scorge solo alcuni metri prima di giungervi, veniamo accolti da un freddo vento da N. Un belvedere affacciato verso la Val Canale regala una suggestiva visione del Santuario del Monte Lussari, illuminato dal sole. La vetta è a pochi passi da noi e la raggiungiamo, dopo aver percorso un tratto attrezzato. Il vasto catino a settentrione è già coperto da un sottile manto di neve, che rende tutto più strabiliante. Ridiscendiamo su terreno innevato ed in parte ghiacciato, prima di raggiungere la lunga forestale, che con molti tornanti ci riporterà in Val Saisera: cammineremo per un buon tratto sotto una bella nevicata!
Da ultimo, poco prima di raggiungere la Val Saisera, il percorso regala dei begli scorci sul Nabois e sui prati dell'Alta Val Saisera, dove di primo mattino ed all'imbrunire, si racconta che gruppi di cervi sono soliti riunirsi in cerca di cibo!
Buon cammino!
Giungiamo a Sella Prasnig dopo aver attraversato dei bei boschi, dai colori cangianti. Quì ha inizio laparte più faticosa dell'itinerario, pocihè il sentiero si fa più stretto e s'inerpica faticosamente lungo le pendici del Cacciatore, regno dei camosci, che d'improvviso vediamo muoversi tranquillamente lungo ripide pietraie. Più su, delle rocce strapiombanti nascondono la cime della montagna. Il cielo d'improvviso si annuvola e, guadagnando la vetta, che si scorge solo alcuni metri prima di giungervi, veniamo accolti da un freddo vento da N. Un belvedere affacciato verso la Val Canale regala una suggestiva visione del Santuario del Monte Lussari, illuminato dal sole. La vetta è a pochi passi da noi e la raggiungiamo, dopo aver percorso un tratto attrezzato. Il vasto catino a settentrione è già coperto da un sottile manto di neve, che rende tutto più strabiliante. Ridiscendiamo su terreno innevato ed in parte ghiacciato, prima di raggiungere la lunga forestale, che con molti tornanti ci riporterà in Val Saisera: cammineremo per un buon tratto sotto una bella nevicata!
Da ultimo, poco prima di raggiungere la Val Saisera, il percorso regala dei begli scorci sul Nabois e sui prati dell'Alta Val Saisera, dove di primo mattino ed all'imbrunire, si racconta che gruppi di cervi sono soliti riunirsi in cerca di cibo!
Buon cammino!
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COCCAU (UDINE) 1/11/09)
E' una splendida giornata dal cielo limpido e terso, quando decidiamo di risalire l'estrema propaggine orientale delle Alpi Carniche, il Monte Goriane / Goriacherberg, desiderosi di ammirare gli splendidi colori autunnalòi del bosco e di godere, raggiunta la vetta della montagna, un panorama tanto esteso quanto incantevole.
A Coccau, ultima frazione d'Italia prima del confine con l'Austria, improvvisamente ci accoglie la nebbia, tant'è che la promettente giornata sembra improvvisamente rovinata. Fa freddo, ma la tentazione d'inoltrarsi nel bosco è grande. Appena sopra alle ultime case, la nebbia si dirada velocemente, òlasciando spazio ad un cielo azzurro, limpido e terso e rallegrandoci a dismisura. E' bello sostare nel bosco, osservado i funghi, le pigne e, soprattutto, i bellissimi colori marrone, verde, rosso, giallo, ocra che lo compongono in pieno autunno, come se si trovassimo davanti ad una tavolozza di un pittore.
La resina profumata, lo scrosciare dell'acqua, che discende veloce dai fianchi del monte, il volteggiare dei grifoni, la pace del bosco c'invitano ad effettuare ripetute ed apprezzatissime soste, per assaporare il respito del Goriane.
Sarà solo poco sotto la vetta, che ci sarà concesso d'ammirare l'ammaliante panorama verso il valico di Tarvisio , le Caravanche e le Giulie. In breve il CAI 511 ci condurrà alle fortificazioni del Vallo Littorio e, dopo pochi passi, al villaggio stagionale del Goriacherberg, composto da piccole, linde ed eleganti baite, ubicate in Austria al ridosso del confine con l'Italia. In vetta un freddo vento proveniente dall'Austria ci sferzerà per l'intera nostra sosta, ma non c'impedirà di godere del panorama incantato.
Ridiscendiamo verso Thörl Maglern, camminando lungo la linea di confine. Il bosco rimane bellissimo, regalandoci begli esemplari arbustivi. Verremo colti dall'oscurità nell'ultimo tratto della discesa, ma la Luna rischiarerà a sufficienza il nostro cammino al cospetto delle Caravanche, le cui sagome buie si staglieranno nel limpido e freddo cielo, fino a poco prima di estrema lucentezza; avremo così modo di ascoltare i rumori serali del bosco e dei suoi numerosi abitanti, che, discreti, avrano senz'altro osservato il nostro procedere.
Auf Wiedersehen!
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PLITVICKA JEZERA / LAGHI DI PLITVICE (CROAZIA) 12-13/4/09
Lasciata la piccola Rastoke, riparto verso S, attraversando il cuore della Lika, una zona agricola e rurale tra le più povere del Paese e, nel farlo, viaggio costantemente a ridosso della frontiera con la Bosnia Erzegovin (BiH). Cartelli stradali sforacchiati dai colpi di pistola, che rimandano alle ostilità ed all'odio interetnico tra le genti di queste plaghe, avvertono che la frontiera per Bihac (BiH) corre a soli 14 km, tra i boschi e le inquietanti scure montagne, che s'innalzano dall'altopiano della Lika. Percorro strade deserte, poco frequentate, sebbene esse conducano verso uno dei luoghi naturalistici più belli della Croazia.
Raggiugo, finalmente, la mia destinazione in un susseguirsi di boschi da favola, intatti, che paiono dischiudersi, solo per un attimo, al passaggio del visitatore. La bellezza del luogo è impareggiabile, l'acqua nelle sue molteplici manifestazioni domina incontrastata questo ambiente che pare integro. Quì la guerra pare essere improvvisamente svanita, anche se in realtà anche questo luogo fu interessato dal passaggio dei miliziani. Tuttavia, troppo celebre è la bellezza del luogo, sicchè, ristabilitasi l'entità statuale si è provveduto - anche con il sostegno dell'UNESCO, di cui Plitvice è patrimonio - a risistemare alla perfezione i pontili, i sentieri ed i camminamenti, che portano migliaia di turisti di ogni dove a scoprire questo tesoro della natura.
Poi, quando lascerò il Parco Naturale di Plitvice, scendendo verso la costa croata ed attraversando gli atopiani dinarici caratterizzati da paesaggi da favola, la guerra tornerà prepotentemente a manifestarsi al nostro cospetto: stavolta, però, non attraverso case squarciate dai colpi d'artiglieria - come a Karlovac -, nonattraverso cartelli forati dai colpi di proiettile - come lungo la frontiera con la BiH -, bensì mediante cartelli posti ai margini della strada che scende a Senj, sulla costa, in corrispondenza di prati e campi. Gran parte di questi terreni, infatti, sono tuttora minati e l'avviso grafico di un teschio e di un'esplosione fa rabbrividire ed incute dell'inquietudine chi passa per queste zone, dove i rari villaggi sono deserti, in cui rari ragazzi sfrecciano a bordodi vecchie biciclette e dove sparuti malgari, agricoltori ed allevatori della Lika offrono ai viandanti squisiti formaggi, grappe, miele ed insaccati; l'arrivo di un pullman può rappresentare davvero un'occasione di festa per loro!
Dall'alto del passo sovrastante la lontana Senj, al margine del vasto altopiano della Lika, darò l'ultimo sguardo alla Croazia interna, ripensando alle sue storie, alle sue meraviglie naturali, alle sue contraddizioni, alle sensazioni ed ai pensieri, che porto con me al rientro in Italia.
Alla prossima volta!
Giuliano.
Lasciata la piccola Rastoke, riparto verso S, attraversando il cuore della Lika, una zona agricola e rurale tra le più povere del Paese e, nel farlo, viaggio costantemente a ridosso della frontiera con la Bosnia Erzegovin (BiH). Cartelli stradali sforacchiati dai colpi di pistola, che rimandano alle ostilità ed all'odio interetnico tra le genti di queste plaghe, avvertono che la frontiera per Bihac (BiH) corre a soli 14 km, tra i boschi e le inquietanti scure montagne, che s'innalzano dall'altopiano della Lika. Percorro strade deserte, poco frequentate, sebbene esse conducano verso uno dei luoghi naturalistici più belli della Croazia.
Raggiugo, finalmente, la mia destinazione in un susseguirsi di boschi da favola, intatti, che paiono dischiudersi, solo per un attimo, al passaggio del visitatore. La bellezza del luogo è impareggiabile, l'acqua nelle sue molteplici manifestazioni domina incontrastata questo ambiente che pare integro. Quì la guerra pare essere improvvisamente svanita, anche se in realtà anche questo luogo fu interessato dal passaggio dei miliziani. Tuttavia, troppo celebre è la bellezza del luogo, sicchè, ristabilitasi l'entità statuale si è provveduto - anche con il sostegno dell'UNESCO, di cui Plitvice è patrimonio - a risistemare alla perfezione i pontili, i sentieri ed i camminamenti, che portano migliaia di turisti di ogni dove a scoprire questo tesoro della natura.
Poi, quando lascerò il Parco Naturale di Plitvice, scendendo verso la costa croata ed attraversando gli atopiani dinarici caratterizzati da paesaggi da favola, la guerra tornerà prepotentemente a manifestarsi al nostro cospetto: stavolta, però, non attraverso case squarciate dai colpi d'artiglieria - come a Karlovac -, nonattraverso cartelli forati dai colpi di proiettile - come lungo la frontiera con la BiH -, bensì mediante cartelli posti ai margini della strada che scende a Senj, sulla costa, in corrispondenza di prati e campi. Gran parte di questi terreni, infatti, sono tuttora minati e l'avviso grafico di un teschio e di un'esplosione fa rabbrividire ed incute dell'inquietudine chi passa per queste zone, dove i rari villaggi sono deserti, in cui rari ragazzi sfrecciano a bordodi vecchie biciclette e dove sparuti malgari, agricoltori ed allevatori della Lika offrono ai viandanti squisiti formaggi, grappe, miele ed insaccati; l'arrivo di un pullman può rappresentare davvero un'occasione di festa per loro!
Dall'alto del passo sovrastante la lontana Senj, al margine del vasto altopiano della Lika, darò l'ultimo sguardo alla Croazia interna, ripensando alle sue storie, alle sue meraviglie naturali, alle sue contraddizioni, alle sensazioni ed ai pensieri, che porto con me al rientro in Italia.
Alla prossima volta!
Giuliano.
TRENTA (SLOVENIA) 27/6/09
C'è un posto nascosto tra le Alpi Giulie, che, forse, più di altri, parla della figura di Julius Kugy, eminente e colta figura di esploratore, alpinista e letterato, che ha legato indissolubilmente il suo nome a queste montagne, personificandone anche quella multietnicità - italiana, austriaca e slovena - che da sempre caratterizza e pervade quest'area: è il giardino botanico "Juliana" di Trenta, raggruppamento di case sparse nell'Alta Valle dell'Isonzo / Soca, non lontano da Bovec / Plezzo. Quì sono raccolte tutte le piante tipiche delle Giulie, che Kugy ha osservato e studiato attentamente, mentre era alla ricerca di una nuova via di salita, mentre era intento ad esplorare nuovi angoli di queste meravigliose montagne oppure mentre era intento, nel corso delle sue lunghe camminate, a scovare la Scabiosa Trenta, la pianta che non esiste.
Accade così, che in uno spazio delimitato, ci si trovi a contatto con gli sgargianti rododendri, con le deliziose stelle alpine e ci si soffermi ad ammirarli all'ombra di slanciati abeti e larici, o di qualche maestoso faggio.Dei semplici sentieri in pietrisco permettono di raggiungere tutti gli angoli del giardino e di apprezzarne la composita struttura, camminando sempre nel ricordo di Kugy, di cui queste valli e queste vette ancora parlano a chi sa ascoltare ed osservare.
Buona passeggiata!
C'è un posto nascosto tra le Alpi Giulie, che, forse, più di altri, parla della figura di Julius Kugy, eminente e colta figura di esploratore, alpinista e letterato, che ha legato indissolubilmente il suo nome a queste montagne, personificandone anche quella multietnicità - italiana, austriaca e slovena - che da sempre caratterizza e pervade quest'area: è il giardino botanico "Juliana" di Trenta, raggruppamento di case sparse nell'Alta Valle dell'Isonzo / Soca, non lontano da Bovec / Plezzo. Quì sono raccolte tutte le piante tipiche delle Giulie, che Kugy ha osservato e studiato attentamente, mentre era alla ricerca di una nuova via di salita, mentre era intento ad esplorare nuovi angoli di queste meravigliose montagne oppure mentre era intento, nel corso delle sue lunghe camminate, a scovare la Scabiosa Trenta, la pianta che non esiste.
Accade così, che in uno spazio delimitato, ci si trovi a contatto con gli sgargianti rododendri, con le deliziose stelle alpine e ci si soffermi ad ammirarli all'ombra di slanciati abeti e larici, o di qualche maestoso faggio.Dei semplici sentieri in pietrisco permettono di raggiungere tutti gli angoli del giardino e di apprezzarne la composita struttura, camminando sempre nel ricordo di Kugy, di cui queste valli e queste vette ancora parlano a chi sa ascoltare ed osservare.
Buona passeggiata!
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KARLOVAC (CROAZIA) 11/4/09
Non vorrei si ricordasse Karlovac, città sulla via per Zagabria ed importante nodo per le comunicazioni, come un centro martoriato dai combattimenti avvenuti durante la Guerra di Jugoslavia negli anni '90 del Novecento: la tanto terrificante quanto impressionante immagine di una casa devastata dalle fiamme, dai colpi d'artiglieria e dai saccheggi, ubicata accanto al grande parco cittadino, resta negl'occhi, a lungo, soprattutto in chi non ha mai vissuto una guerra! E' questa la seconda tappa del mio viaggio all'interno della Croazia, ripartito da Fuzine, nel Gorski Kotar.
E' diversa l'atmosfera che si respira in questo posto, ubicato nel cuore della Croazia, all'estremo margine orientale del vasto e selvaggio complesso montuoso del Gorski Kotar, regno dell'orso e della lince. Quì ha inizio la pianura, che sia estende in direzione E coinvolgendo anche la Capitale. I segni della guerra sono piuttosto tangibili, osservando le case, parecchie delle quali portano indelebili tracce della stagione bellica, i monumenti, non troppo curati a causa delle ristrettezze econimoche imposte prima dai combattimenti e, poi, da una situazione statuale non delle migliori, nei palazzi, trasformati in caserme, ma soprattutto nella gente, dagli sguardi tristi, che lasciano trasparire sofferenza e dolore. Quassù non si parla volantieri di quanto accaduto negl'ultimi decenni: si raccontano e si spiegano a malavoglia, cercando di dire il meno possibile: le ferite lasciate dalla guerra sono quantomai vive, evidentemente.
Meglio, allora, cercare le tracce di quella "città ideale", ovvero di quella città fortificata a 6 punte, che ricorda Palmanova, con i suoi bastioni ed i suoi fossati; meglio, ancora, osservandola dall'alto del Castello di Dubovac; vederne il ruolo di crocevia tra le starde per Zagabria, la Slovenia e Rijeka, apprezzndo le steli simili a dei moderni distanzieri, che ne ricordano la distanza coi principali centri dell'Impero Asburgico; o, se lo si preferisce, apprezzarne il luogo in cui è situata, tra le montagne e la pianura, alla confluenza dei 2 fiumi Kupa e Korana, i cui nomi si associano al complesso turistico più famoso del Paese: i Laghi di Plitvice, una delle mie prossime mete.
A presto.
Non vorrei si ricordasse Karlovac, città sulla via per Zagabria ed importante nodo per le comunicazioni, come un centro martoriato dai combattimenti avvenuti durante la Guerra di Jugoslavia negli anni '90 del Novecento: la tanto terrificante quanto impressionante immagine di una casa devastata dalle fiamme, dai colpi d'artiglieria e dai saccheggi, ubicata accanto al grande parco cittadino, resta negl'occhi, a lungo, soprattutto in chi non ha mai vissuto una guerra! E' questa la seconda tappa del mio viaggio all'interno della Croazia, ripartito da Fuzine, nel Gorski Kotar.
E' diversa l'atmosfera che si respira in questo posto, ubicato nel cuore della Croazia, all'estremo margine orientale del vasto e selvaggio complesso montuoso del Gorski Kotar, regno dell'orso e della lince. Quì ha inizio la pianura, che sia estende in direzione E coinvolgendo anche la Capitale. I segni della guerra sono piuttosto tangibili, osservando le case, parecchie delle quali portano indelebili tracce della stagione bellica, i monumenti, non troppo curati a causa delle ristrettezze econimoche imposte prima dai combattimenti e, poi, da una situazione statuale non delle migliori, nei palazzi, trasformati in caserme, ma soprattutto nella gente, dagli sguardi tristi, che lasciano trasparire sofferenza e dolore. Quassù non si parla volantieri di quanto accaduto negl'ultimi decenni: si raccontano e si spiegano a malavoglia, cercando di dire il meno possibile: le ferite lasciate dalla guerra sono quantomai vive, evidentemente.
Meglio, allora, cercare le tracce di quella "città ideale", ovvero di quella città fortificata a 6 punte, che ricorda Palmanova, con i suoi bastioni ed i suoi fossati; meglio, ancora, osservandola dall'alto del Castello di Dubovac; vederne il ruolo di crocevia tra le starde per Zagabria, la Slovenia e Rijeka, apprezzndo le steli simili a dei moderni distanzieri, che ne ricordano la distanza coi principali centri dell'Impero Asburgico; o, se lo si preferisce, apprezzarne il luogo in cui è situata, tra le montagne e la pianura, alla confluenza dei 2 fiumi Kupa e Korana, i cui nomi si associano al complesso turistico più famoso del Paese: i Laghi di Plitvice, una delle mie prossime mete.
A presto.
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SLUNJ (CROAZIA) 12/4/09
53 chilometri di strada mi separano da Slunj, la mia prossima meta. Ripartito da Karlovac, procedo lungo strade sinuose e poco battute verso l'interno della Croazia: quì il turismo è decisamente meno pressante rispetto alla costa. Attraverso, percorrendo strade statali e locali, una vasta e lunghissima zona collinare, una sorta d'altopiano intervallatoda radi paesi e villaggi circondati da campagne e boscaglia. Pensavo, forse m'illudevo, che lo spettro terrificante della guerra si fosse fermato a Karlovac e che le zone che mi apprestavo ad attraversare fossero rimaste "indenni", presentando, a quasi 20 anni dalla fine del conflitto che insanguinò queste terre, borghi e frazioni tipicamene agresti. Mi sbagliavo di grosso, purtroppo! La guerra, sotto varie manifestazioni, mi accompagnerà per tutto il resto del viaggio, facendomi riflettere chilometro dopo chilometro. Le rade frazioni in cui m'imbatto sono costituite da poche e sparute case, perlopiù affatto interessanti dal punto di vista architettonico, in quantio abbandonate o lacerate irrimediabilmente dalla furia atroce dei combattimenti oppure in fase di lenta ricostruzione. E' un qualcosa, che io non ho mai visto, che non ho mai vissuto e l'osservarlo costituisce un arricchimento personale. Per strada non s'incontra nessuno; il silenzio e la pace del luogo sembrano regnare incontrastati su tutto, sembra!
Rastoke è un'idilliaca località alle porte della cittadine di Slunj; la sosta è d'obbligo, per assaporare l'autenticità del posto.
Poche case rurali edificate sull'impetuoso corso del Fiume Korana, che quì si manifesta con cascatelle, rivoli e vortici scenografici e pittoreschi e sul quale corso la piccola e raccolta comunità ha fondato la sua principale fonte di reddito (l'attività molitoria), compongono Rastoke. Lo sguardo attirato dalla bellezza del precipitare dell'acqua, è d'un tratto colpito da un grande masso, che giace in mezzo al corso d'acqua e, più in là, da un ponte: ebbene, essi sono conseuenza della guerra, di nuovo! Il masso precipitato in acqua è la conseguenza di una potentissima deflagrazione di bombe e colpi d'artiglieria spariti dagli opposti schieramenti; il ponte, invece, come lo si vede oggi è il rifacimento di quello molto più antico bruciato e fatto saltare in aria dai miliziani.
Non basterà osservare gli antichi mulini od assaggiare gli squisiti formaggi e la forte grappa prodotta dai contadini locali, per cancellare la presenza della guerra, che si manifesta, quasi latente, in molte forme, vieppiù all'approssimarsi al confine con la Bosnia Erzegovina (BiH), che lambirò nel prosieguo del viaggio, incamminandomi alla volta di Plitvice, forse lameta più celebre della Lika, la regione più povera della Croazia interna.
Venite con me a conoscere queste atmosfere intense, che sottendono a sensazioni, luoghi e posti tanto sconosciuti quanto originali! Buon proseguimento di viaggio!
Giuliano.-
53 chilometri di strada mi separano da Slunj, la mia prossima meta. Ripartito da Karlovac, procedo lungo strade sinuose e poco battute verso l'interno della Croazia: quì il turismo è decisamente meno pressante rispetto alla costa. Attraverso, percorrendo strade statali e locali, una vasta e lunghissima zona collinare, una sorta d'altopiano intervallatoda radi paesi e villaggi circondati da campagne e boscaglia. Pensavo, forse m'illudevo, che lo spettro terrificante della guerra si fosse fermato a Karlovac e che le zone che mi apprestavo ad attraversare fossero rimaste "indenni", presentando, a quasi 20 anni dalla fine del conflitto che insanguinò queste terre, borghi e frazioni tipicamene agresti. Mi sbagliavo di grosso, purtroppo! La guerra, sotto varie manifestazioni, mi accompagnerà per tutto il resto del viaggio, facendomi riflettere chilometro dopo chilometro. Le rade frazioni in cui m'imbatto sono costituite da poche e sparute case, perlopiù affatto interessanti dal punto di vista architettonico, in quantio abbandonate o lacerate irrimediabilmente dalla furia atroce dei combattimenti oppure in fase di lenta ricostruzione. E' un qualcosa, che io non ho mai visto, che non ho mai vissuto e l'osservarlo costituisce un arricchimento personale. Per strada non s'incontra nessuno; il silenzio e la pace del luogo sembrano regnare incontrastati su tutto, sembra!
Rastoke è un'idilliaca località alle porte della cittadine di Slunj; la sosta è d'obbligo, per assaporare l'autenticità del posto.
Poche case rurali edificate sull'impetuoso corso del Fiume Korana, che quì si manifesta con cascatelle, rivoli e vortici scenografici e pittoreschi e sul quale corso la piccola e raccolta comunità ha fondato la sua principale fonte di reddito (l'attività molitoria), compongono Rastoke. Lo sguardo attirato dalla bellezza del precipitare dell'acqua, è d'un tratto colpito da un grande masso, che giace in mezzo al corso d'acqua e, più in là, da un ponte: ebbene, essi sono conseuenza della guerra, di nuovo! Il masso precipitato in acqua è la conseguenza di una potentissima deflagrazione di bombe e colpi d'artiglieria spariti dagli opposti schieramenti; il ponte, invece, come lo si vede oggi è il rifacimento di quello molto più antico bruciato e fatto saltare in aria dai miliziani.
Non basterà osservare gli antichi mulini od assaggiare gli squisiti formaggi e la forte grappa prodotta dai contadini locali, per cancellare la presenza della guerra, che si manifesta, quasi latente, in molte forme, vieppiù all'approssimarsi al confine con la Bosnia Erzegovina (BiH), che lambirò nel prosieguo del viaggio, incamminandomi alla volta di Plitvice, forse lameta più celebre della Lika, la regione più povera della Croazia interna.
Venite con me a conoscere queste atmosfere intense, che sottendono a sensazioni, luoghi e posti tanto sconosciuti quanto originali! Buon proseguimento di viaggio!
Giuliano.-
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FUZINE (CROAZIA) 11/4/09
E' la prima tappa del viaggio, che mi porterà a visitare il complesso dei Laghi di Plitvice / Plitvicka Jezera, probabilmente il maggior monumento naturale della Croazia e, sicuramente, uno dei maggiormente visitati.
Raggiunta la città di Rijeka / Fiume, si devia per l'entroterra, attraversando la selvaggia regione del Gorski Kotar, area montana di estremo interesse naturalistico, ove vive stabilmente l'orso: dei cartelli ne avvertono la presenza. Il comprensorio si caratterizza per un aspetto tipicamente alpino, nonostante l'estrema vicinanza al mare ed un'altitudine non ragguardevole: è proprio l'abbondante presenza di neve, favorita da un clima spiccatamente continentale, a far sì che il Gorski Kotar assuma un carattere simile al contesto delle Alpi.
Gli abitati sono rari e di piccole dimensioni e conservano un aspetto perlopiù tradizionale e rurale. E' il caso del piccolo borgo di Fuzine, sorto sull'azzurro Lago Bajer, piccolo invaso artificiale alle estreme propaggini E del Gorski Kotar. Una semplice passeggiata consente di percorrerne le sue sponde, godendo di una bella visuale sulla frazione, celebre per l'inaspettata produzione di lavanda. Tutto attorno, il blu del lago e le selve, che ospitano e danno rifugio a straordinarie specie animali: su tutte, la lince - sibolo dell'area protetta del Gorki Kotar -, il lupo e, come accennato, l'orso.
Il Gorski Kotar scema ad E nella vasta pianura, che caratterizza la regione di Zagreb/Zagabria e della Slavonia, all'estremità orientale del Paese. La città di Karlovac, importante crocevia della Croazia Centale, sarà la prossima tappa del viaggio: lì ci aspettano altre storie, fortemente impregnate dalla Guerra di Jugoslavia aspramente combattuta durante gli Anni 90 del Novecento
Raggiunta la città di Rijeka / Fiume, si devia per l'entroterra, attraversando la selvaggia regione del Gorski Kotar, area montana di estremo interesse naturalistico, ove vive stabilmente l'orso: dei cartelli ne avvertono la presenza. Il comprensorio si caratterizza per un aspetto tipicamente alpino, nonostante l'estrema vicinanza al mare ed un'altitudine non ragguardevole: è proprio l'abbondante presenza di neve, favorita da un clima spiccatamente continentale, a far sì che il Gorski Kotar assuma un carattere simile al contesto delle Alpi.
Gli abitati sono rari e di piccole dimensioni e conservano un aspetto perlopiù tradizionale e rurale. E' il caso del piccolo borgo di Fuzine, sorto sull'azzurro Lago Bajer, piccolo invaso artificiale alle estreme propaggini E del Gorski Kotar. Una semplice passeggiata consente di percorrerne le sue sponde, godendo di una bella visuale sulla frazione, celebre per l'inaspettata produzione di lavanda. Tutto attorno, il blu del lago e le selve, che ospitano e danno rifugio a straordinarie specie animali: su tutte, la lince - sibolo dell'area protetta del Gorki Kotar -, il lupo e, come accennato, l'orso.
Il Gorski Kotar scema ad E nella vasta pianura, che caratterizza la regione di Zagreb/Zagabria e della Slavonia, all'estremità orientale del Paese. La città di Karlovac, importante crocevia della Croazia Centale, sarà la prossima tappa del viaggio: lì ci aspettano altre storie, fortemente impregnate dalla Guerra di Jugoslavia aspramente combattuta durante gli Anni 90 del Novecento
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DOMODOSSOLA (VERBANIA) 1/5/09
L'Alto Piemonte è una sorta di cuneo, che s'insinua nel territorio della Confederazione Elvetica: osservato sulla carta geografica, esso assomiglia molto ad una foglia di platano, la cui venatura principale corrisponde alla Val d'Ossola bagnata dal Fiume Toce, cui convergono una miriade di piccole altre "venature", le valli minori, che insistono sulla prima. E' un territorio montuoso molto affascinante e poco conosciuto dal turismo di massa, che nasconde ed offre al paziente visitatore scenari, storie e testimonianze artistiche di indubbia valenza. Capoluogo, sebbene non amministrativo - lo è Verbania - del comprensorio è la cittadina di Domodossola, da sempre punto rilevante di traffici e commerci da e per l'adiacente Svizzera (Passo del Sempione - Simplonpaß). Proprio da quì si diparte la Val Vigezzo, una delle "valli minori" dell'Ossola, che sviluppandosi in direzione E, raggiunge il confine elvetico: da quì, poi, la valle, con il toponimo di Centovalli a significare le innumerevoli vallette che vi convergono, prosegue sino alla città di Locarno, ubicata sull'estrema propaggine settentrionale del Lago Maggiore. Un'ardita e spettacolare ferrovia l'attraversa interamente, risalendo da Domodossola ed inoltrandosi tra boschi di faggi, castagni e pecceti nella Val Vigezzo, bagnata dal Fiume Melezzo. Si toccano, dopo essere transitati lungo ponti, gallerie e viadotti (decisamente più frequenti nel tratto svizzero, isolati, e ridenti borghi rurali, che raccontano la storia delle popolazioni locali, la cui vita non è stata semplice: l'emigrazione, l'invenzione di nuovi mestieri (lo spazzacamino) per sopravvivere quassù, il dover "convivere" con le limitazioni imposte dall'istituzione del più grande Parco Naturale del Piemonte, il rilancio in chiave turistico di queste splendide plaghe sono tutte espressioni di questa particolare realtà attraversata dal treno e di cui lo stesso fa parte.Un procedere lento lungo il sinuoso percorso regala scorci indimenticabili della lunghissima forra, dove il fiume scorre veemente e spumeggiante, incassato tra le rocce ed i boschi dominati dalle alte vette delle Alpi Lepontine, innevate sino a tarda stagione I segni della civiltà riappaiono da ultimo, solo quando oramai si è alle porte dell'elegante città di Locarno, alla fine delle Centovalli, quando anche il fiume conclude la sua tumultuosa e pittoresca corsa, abbandonandosi nelle acque del Lago Maggiore.
Buon viaggio!
Giuliano.-
L'Alto Piemonte è una sorta di cuneo, che s'insinua nel territorio della Confederazione Elvetica: osservato sulla carta geografica, esso assomiglia molto ad una foglia di platano, la cui venatura principale corrisponde alla Val d'Ossola bagnata dal Fiume Toce, cui convergono una miriade di piccole altre "venature", le valli minori, che insistono sulla prima. E' un territorio montuoso molto affascinante e poco conosciuto dal turismo di massa, che nasconde ed offre al paziente visitatore scenari, storie e testimonianze artistiche di indubbia valenza. Capoluogo, sebbene non amministrativo - lo è Verbania - del comprensorio è la cittadina di Domodossola, da sempre punto rilevante di traffici e commerci da e per l'adiacente Svizzera (Passo del Sempione - Simplonpaß). Proprio da quì si diparte la Val Vigezzo, una delle "valli minori" dell'Ossola, che sviluppandosi in direzione E, raggiunge il confine elvetico: da quì, poi, la valle, con il toponimo di Centovalli a significare le innumerevoli vallette che vi convergono, prosegue sino alla città di Locarno, ubicata sull'estrema propaggine settentrionale del Lago Maggiore. Un'ardita e spettacolare ferrovia l'attraversa interamente, risalendo da Domodossola ed inoltrandosi tra boschi di faggi, castagni e pecceti nella Val Vigezzo, bagnata dal Fiume Melezzo. Si toccano, dopo essere transitati lungo ponti, gallerie e viadotti (decisamente più frequenti nel tratto svizzero, isolati, e ridenti borghi rurali, che raccontano la storia delle popolazioni locali, la cui vita non è stata semplice: l'emigrazione, l'invenzione di nuovi mestieri (lo spazzacamino) per sopravvivere quassù, il dover "convivere" con le limitazioni imposte dall'istituzione del più grande Parco Naturale del Piemonte, il rilancio in chiave turistico di queste splendide plaghe sono tutte espressioni di questa particolare realtà attraversata dal treno e di cui lo stesso fa parte.Un procedere lento lungo il sinuoso percorso regala scorci indimenticabili della lunghissima forra, dove il fiume scorre veemente e spumeggiante, incassato tra le rocce ed i boschi dominati dalle alte vette delle Alpi Lepontine, innevate sino a tarda stagione I segni della civiltà riappaiono da ultimo, solo quando oramai si è alle porte dell'elegante città di Locarno, alla fine delle Centovalli, quando anche il fiume conclude la sua tumultuosa e pittoresca corsa, abbandonandosi nelle acque del Lago Maggiore.
Buon viaggio!
Giuliano.-
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PESARIIS (UDINE) 26/7/09
E' conosciuta ed indubbia la bellezza dei luoghi attraversati da questo frequentato itinerario e questo, indubbiamente, incentiva l'incamminarsi lungo il ripido sentiero, che dall'Alta Val Pesarina avvicina al Rifugio De Gasperi.Decisamente meno conosciuto, invece, è un episodio storico dal tragico epilogo, che si consumò al Rifugio stesso e che rimanda ai tormentati anni della Seconda Guerra Mondiale in Carnia: la cosiddetta "Pasqua Rossa"
Dalla località Pradibosco, nell'Alta Val Pesarina, quasi al confine con il Cadore (Veneto), il sentiero s'inoltra immediatamente nelle fitte abetaie e risale decisamente i ripidi fianchi del Creton di Pal Grande, vetta inserita nel complesso delle Dolomiti Pesarine. Evidentissimi sono i segni lasciati dall'inverno appena conclusosi, caratterizzato da abbondantissime nevicate, talmente copiose, che numerosi larici ed abeti non hanno retto all'eccezionale peso della neve, collassando. Solo a tratti, il bosco lascia aperte delle piccole finestre, che permettono di spaziare sulle alture a N di Sauris e, più in là, verso il Cadore.
Si perviene, così, in prossimità della diramazione per Passo Eibel: quì le seghettate sagome delle creste del Clap si stagliano nell'azzurro del cielo, mostrando la loro bellezza. Questo breve tratto è l'unica area umida attraversata dal sentiero, che risale al De Gasperi.
Dopo poco un'avvertnza consiglia di scegliere la "via bassa", per raggiungere il Rifugio, poiché quella alta è stata rovinata da frane ed il suo tracciato presenta ancora residui nivali. Si attraversa il Rio di Pradibosco e, con erta serpentina, si raggiunge il panoramico poggio, che anticipa di poco la suggestiva ed elegante costruzione del Rifugio De Gasperi.
Una sosta è d'obbligo, sia per assaporare la proposta culinaria del cortese gestore, sia per ammirare l'immensa bellezza di tutta la Val Pesarina, che da quassù appare nella sua interezza. Una tabella rimanda ad un cruento fatto d'arme, che quassù si consumò tra il 2-3/4/1945 e noto come "La Pasqua Rossa": sembra quasi di rivedere le persone coinvolte ripararsi nel Rifugio De Gasperi, risentire i rumori della furia delle artiglierie e delle brigate che risalivano dal fondovalle, 500 m più sotto, lungo il percorso da noi appena seguito: è impressionante!
Risaliamo ancora un tratto del sentiero, che avvicina alle vie ferrate del Clap Grande, ammirando così l'imponenza delle guglie e delle incombenti rocce.
Lungo la via del rientro, optiamo per la deviazione all'isolata Casera Mimoias, la cui costruzione è in parte diruta. Vaste praterie circondano la malga e sostarvi all'ora del tramonto, assaporando la pace e la fresca aria di quassù, costituisce un ottimo modo per congedarci, ma solo per un po', da questa bella vallata della Carnia.
Buon cammino a tutti!
E' conosciuta ed indubbia la bellezza dei luoghi attraversati da questo frequentato itinerario e questo, indubbiamente, incentiva l'incamminarsi lungo il ripido sentiero, che dall'Alta Val Pesarina avvicina al Rifugio De Gasperi.Decisamente meno conosciuto, invece, è un episodio storico dal tragico epilogo, che si consumò al Rifugio stesso e che rimanda ai tormentati anni della Seconda Guerra Mondiale in Carnia: la cosiddetta "Pasqua Rossa"
Dalla località Pradibosco, nell'Alta Val Pesarina, quasi al confine con il Cadore (Veneto), il sentiero s'inoltra immediatamente nelle fitte abetaie e risale decisamente i ripidi fianchi del Creton di Pal Grande, vetta inserita nel complesso delle Dolomiti Pesarine. Evidentissimi sono i segni lasciati dall'inverno appena conclusosi, caratterizzato da abbondantissime nevicate, talmente copiose, che numerosi larici ed abeti non hanno retto all'eccezionale peso della neve, collassando. Solo a tratti, il bosco lascia aperte delle piccole finestre, che permettono di spaziare sulle alture a N di Sauris e, più in là, verso il Cadore.
Si perviene, così, in prossimità della diramazione per Passo Eibel: quì le seghettate sagome delle creste del Clap si stagliano nell'azzurro del cielo, mostrando la loro bellezza. Questo breve tratto è l'unica area umida attraversata dal sentiero, che risale al De Gasperi.
Dopo poco un'avvertnza consiglia di scegliere la "via bassa", per raggiungere il Rifugio, poiché quella alta è stata rovinata da frane ed il suo tracciato presenta ancora residui nivali. Si attraversa il Rio di Pradibosco e, con erta serpentina, si raggiunge il panoramico poggio, che anticipa di poco la suggestiva ed elegante costruzione del Rifugio De Gasperi.
Una sosta è d'obbligo, sia per assaporare la proposta culinaria del cortese gestore, sia per ammirare l'immensa bellezza di tutta la Val Pesarina, che da quassù appare nella sua interezza. Una tabella rimanda ad un cruento fatto d'arme, che quassù si consumò tra il 2-3/4/1945 e noto come "La Pasqua Rossa": sembra quasi di rivedere le persone coinvolte ripararsi nel Rifugio De Gasperi, risentire i rumori della furia delle artiglierie e delle brigate che risalivano dal fondovalle, 500 m più sotto, lungo il percorso da noi appena seguito: è impressionante!
Risaliamo ancora un tratto del sentiero, che avvicina alle vie ferrate del Clap Grande, ammirando così l'imponenza delle guglie e delle incombenti rocce.
Lungo la via del rientro, optiamo per la deviazione all'isolata Casera Mimoias, la cui costruzione è in parte diruta. Vaste praterie circondano la malga e sostarvi all'ora del tramonto, assaporando la pace e la fresca aria di quassù, costituisce un ottimo modo per congedarci, ma solo per un po', da questa bella vallata della Carnia.
Buon cammino a tutti!
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NARIN (SLOVENIA) 24/1/10
L'aria quassù ha odore di neve! Apriamo la stagione escursionistica del 2010, raggiungendo questo isolato villaggio alle porte di Pivka / San Pietro del Carso, in una giornata molto fredda di fine gennaio, quando tutti i campi, i prati ed i boschi sono abbondantemente ricoperti da uno strato candido e ghiacciato di neve. Per strada non c'è nessuno e con difficoltà riusciamo ad interloquire con un gentile uomo del posto. La montagna sopra di noi, contraddistinta dalla presenza di un piccolo ripetitore per le telecomunicazioni, rappresenta la nostra meta. Iniziamo a camminare, infreddoliti, ma curiosi e tenaci per la suggestione del posto - o forse per il l'aspetto insolito che il bianco candido della neve dona al paesaggio - attraversando la ferrovia per la Croazia e camminando attraverso i campi. Improvvisamente svoltiamo nel bosco e l'incanto diviene maggiore: stiamo "respirando l'inverno", sferzati dal gelido vento di Bora, mentre calpestiamo il terreno gelato ed osserviamo le tracce di caprioli, ungulati e di altri abitanti del bosco, che ci hanno preceduti per questa plaga in cerca di riparo e di cibo. Ancora un piccolo sforzo e raggiungiamo Silen Tabor, la minuscola frazione dall'aspetto spiccatamente agreste, ubicata in cima al costone ed in posizione panoramicissima. Camminare e soffermarsi ad osservare il villaggio, ci permette di scorgere antiche case dirute, d'intuire i resti e la costruzione dell'antico maniero, che quassù sorgeva, di sorvolare con la fantasia la bianca piana di Narin, da dove ci siamo incamminati.
Ridiscendiamo, dopo aver raggiunto la piccola chiesa appena fuori dal borgo, attraverso un fitto bosco ceduo, solo da ultimo intervallato dalla coltivazione di frutteti: incontriamo un piccolo gruppo di cacciatori sloveni, anche loro infreddoliti, che si affrettano a raggiungere la sommità del ciglione.
Fa buoi presto in questa stagione: ci soffermiamo ancora un po' a Narin, assaporandone la quieta bellezza, scrutando il sentiero che risale il ciglione, guardando il punto più alto dello stesso, dove sorge Silen Tabor, toccando ancora una volta la neve! Una sosta di ristoro per rifocillarci dal freddo e dalla fame, conclude la nostra prima e piacevole uscita di quest'anno!
Buon cammino.
Ridiscendiamo, dopo aver raggiunto la piccola chiesa appena fuori dal borgo, attraverso un fitto bosco ceduo, solo da ultimo intervallato dalla coltivazione di frutteti: incontriamo un piccolo gruppo di cacciatori sloveni, anche loro infreddoliti, che si affrettano a raggiungere la sommità del ciglione.
Fa buoi presto in questa stagione: ci soffermiamo ancora un po' a Narin, assaporandone la quieta bellezza, scrutando il sentiero che risale il ciglione, guardando il punto più alto dello stesso, dove sorge Silen Tabor, toccando ancora una volta la neve! Una sosta di ristoro per rifocillarci dal freddo e dalla fame, conclude la nostra prima e piacevole uscita di quest'anno!
Buon cammino.
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STRESA (VERBANIA) 2/5/09
E' l'ultima tappa del mio viaggio nel Verbano, che segue alla visita a Domodossola ed alle Centovalli (Svizzera), di cui vi ho riferito tempo addietro. Se in quel contesto era l'asprezza delle montagne con i loro angoli incantati a dominare le sensazioni di viaggio, ora pare di trovarsi a centinaia di chilometri da quella realtà, giacché le atmosfere di Stresa e delle piccole antistanti Isole Borromee rimandano ad un clima decisamente mediterraneo. Eppure Domodossola dista appena 42 km da quì!
Se il Domese racconta della variegata e strutturata geologia della zona, di paesi rurali nascosti in quasi impenetrabili vallate, dell'affermarsi in Piemonte dell'idea di Parco Nazionale, dell'ingegno dei villici per superare la difficile vita di montagna, Stresa e le Isole Borromee raccontano, invece, della stagione e dell'avvento della villeggiatura in questo fantastico angolo del Lago Maggiore, meta degli aristocratici lombardi, che da sempre hanno eletto questa plaga a loro soggiorno.
Stresa, così, si caratterizza per la presenza di ville aristocratiche deputate ad accogliere importanti personalità durante i periodi di villeggiatura. Il contesto ambientale sicuramente gioca un ruolo primario, tuttavia sono le dirimpettaie Isole Borromee a destare un richiamo fortissimo, in chi come me, si spinge sino in quest'angolo dell'Alto Piemonte.
Si tratta di 3 isole di piccole proporzioni, capaci di svelare 3 aspetti completamente differenti del loro essere: chi adora la storia si recherà all'Isola Bella; chi s'interessa di botanica prediligerà l'escursione all'Isola Madre, mentre chi vorrà semplicemente assaporare l'atmosfera festante si soffermerà all'Isola dei Pescatori.
Dei frequenti servizi di battello coprono in pochi minuti la di stanza tra Stresa e l'arcipelago, fermando in tutte le isole.
E' l'ultima tappa del mio viaggio nel Verbano, che segue alla visita a Domodossola ed alle Centovalli (Svizzera), di cui vi ho riferito tempo addietro. Se in quel contesto era l'asprezza delle montagne con i loro angoli incantati a dominare le sensazioni di viaggio, ora pare di trovarsi a centinaia di chilometri da quella realtà, giacché le atmosfere di Stresa e delle piccole antistanti Isole Borromee rimandano ad un clima decisamente mediterraneo. Eppure Domodossola dista appena 42 km da quì!
Se il Domese racconta della variegata e strutturata geologia della zona, di paesi rurali nascosti in quasi impenetrabili vallate, dell'affermarsi in Piemonte dell'idea di Parco Nazionale, dell'ingegno dei villici per superare la difficile vita di montagna, Stresa e le Isole Borromee raccontano, invece, della stagione e dell'avvento della villeggiatura in questo fantastico angolo del Lago Maggiore, meta degli aristocratici lombardi, che da sempre hanno eletto questa plaga a loro soggiorno.
Stresa, così, si caratterizza per la presenza di ville aristocratiche deputate ad accogliere importanti personalità durante i periodi di villeggiatura. Il contesto ambientale sicuramente gioca un ruolo primario, tuttavia sono le dirimpettaie Isole Borromee a destare un richiamo fortissimo, in chi come me, si spinge sino in quest'angolo dell'Alto Piemonte.
Si tratta di 3 isole di piccole proporzioni, capaci di svelare 3 aspetti completamente differenti del loro essere: chi adora la storia si recherà all'Isola Bella; chi s'interessa di botanica prediligerà l'escursione all'Isola Madre, mentre chi vorrà semplicemente assaporare l'atmosfera festante si soffermerà all'Isola dei Pescatori.
Dei frequenti servizi di battello coprono in pochi minuti la di stanza tra Stresa e l'arcipelago, fermando in tutte le isole.
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VIZINADA / VISINADA (CROAZIA) 2/5/10
La meta della nostra destinazione, rovinata ma solo in parte dalla pioggia, è rappresentata da uno dei tratti finali della dismessa Ferrovia Parenzana, la cui storia e caratteristiche sono già state riferite in un mio precedente scritto. Il tratto d'interesse congiunge i paesi di Vizinada e Visnjan, nel cuore dell'Istria croata, e permette di transitare per estesi campi coltivati e di toccare alcuni piccoli borghi dal carattere rurale. Il tracciato della ferrovia non è sempre immediatamente intuibile e, per questo, si richiedono digressioni dal tracciato originario.La visita culturale alle emergenze toccate dall'itinerario consente di assaporare al meglio la specificità di una zona tuttora affatto lambita dal turismo, cogliendo episodi storici ed architettonici di valenza. Leggermente discosto dalla meta dell'escursione si trova l'interessante complesso ipogeo delle Jame Baredine / Grotte Baredine, aperte ed attrezzate per la visita del pubblico: quaggiù le pietre e l'acqua, incontrandosi, hanno formato delle superbe architetture, le cui immagini restano a lungo negl'occhi di chi scende nella spelonca..
Buona visita!
Giuliano
Buona visita!
Giuliano
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BRANIK (SLOVENIA) 9/5/10
E' a me molto caro il Carso, cui mi legano memorie ed accadimenti della mia vita, picché l'ho sempre frequentato con molto interesse, intenzionato a scoprirne i più disparati angoli, a percorrerne i più reconditi sentieri, a salirne le più isolate cime. Ricordo ancora la prima volta in cui percorsi la rotabile che da Komen conduce a Nova Gorica ed in particolare la sorpresa e la meraviglia che provai nel vedere l'imponente Castello di Rihemberk, dominante da un colle l'abitato rurale di Branik. Pare di trovarsi difronte al castello delle meraviglie, con le sue torri merlate, le mura possenti ed al tempo stesso eleganti, la sagoma vivace e composta, che fa correre l'occhio sulle merlature, sulle torri angolari, sulla barbariga. E' senza dubbio l'immagine del castello, ad avermi spinto a voler scoprire il territorio di Branik.
Affrontiamo l'escursione all'inizio di Maggio in una tiepida giornata primaverile. Troviamo subito delle difficoltà ad individuare il punto di partenza dell'antico tracciato, che dal fondovalle della Branica - valle adibita ad un'ottima produzione vitivinicola e bagnata dall'omonimo corso d'acqua - conduce per boschi silenziosi a Pedrovo, raccolta frazione, alta sulla forra. I segnavia sono sbiaditi e nemmeno gli abitanti locali sembrano ricordare più il percorso pedonale. Tuttavia, dopo alcune incertezze, individuiamo la carrareccia, che con graduale salita guadagna quota all'interno di un vallone solitario, immerso nel bosco ceduo. La zona è molto umida: a dimostrarlo, ci sono le felci e numerose piante tipiche delle zone ricche d'acqua. Con un ultimo strappo, guadagniamo Pedrovo, poche case raccolte attorno alla piazzetta del villaggio, ove vediamo solo alcuni uomini intenti a far legna ed a curare l'aia di casa. Alcune abitazioni sono dirute, qualche altra, invece, è ben ristrutturata.
Un giovane del luogo, cui ci rivolgiamo per ricevere delle informazioni sul prosieguo dell'anello, ci ammonisce dal farlo, in quanto l'altura sovrastante Pedrovo, la Sumka, è stata interessata da un importante incendio alcune estati fa, che ha cancellato il sentiero.La gita pare essere rovinata, tuttavia ci spingiamo lungo il tracciato, che dapprima nel bosco e poi su terreno aperto, conduce verso il Trstelj, l'altura più elevata del Carso di Komen.
Rientrati a Pedrovo, scendiamo verso Branik, raggiungendo il bel maniero - la cui visita però è interdetta da almeno 4 anni a causa di divergenze sulla sua gestione. Sebbene lo si visiti solo dall'esterno, la visione è assai suggestiva e sembra di vedere ancora d'intravedere tra le sue mura i cortigiani muoversi tra le sue mura.
Un gustoso piatto di gnocchi al terrano ci attende nella trattoria locale alla fine della gradevole seppure non eccezionale escursione.
Buon cammino!
Giuliano
E' a me molto caro il Carso, cui mi legano memorie ed accadimenti della mia vita, picché l'ho sempre frequentato con molto interesse, intenzionato a scoprirne i più disparati angoli, a percorrerne i più reconditi sentieri, a salirne le più isolate cime. Ricordo ancora la prima volta in cui percorsi la rotabile che da Komen conduce a Nova Gorica ed in particolare la sorpresa e la meraviglia che provai nel vedere l'imponente Castello di Rihemberk, dominante da un colle l'abitato rurale di Branik. Pare di trovarsi difronte al castello delle meraviglie, con le sue torri merlate, le mura possenti ed al tempo stesso eleganti, la sagoma vivace e composta, che fa correre l'occhio sulle merlature, sulle torri angolari, sulla barbariga. E' senza dubbio l'immagine del castello, ad avermi spinto a voler scoprire il territorio di Branik.
Affrontiamo l'escursione all'inizio di Maggio in una tiepida giornata primaverile. Troviamo subito delle difficoltà ad individuare il punto di partenza dell'antico tracciato, che dal fondovalle della Branica - valle adibita ad un'ottima produzione vitivinicola e bagnata dall'omonimo corso d'acqua - conduce per boschi silenziosi a Pedrovo, raccolta frazione, alta sulla forra. I segnavia sono sbiaditi e nemmeno gli abitanti locali sembrano ricordare più il percorso pedonale. Tuttavia, dopo alcune incertezze, individuiamo la carrareccia, che con graduale salita guadagna quota all'interno di un vallone solitario, immerso nel bosco ceduo. La zona è molto umida: a dimostrarlo, ci sono le felci e numerose piante tipiche delle zone ricche d'acqua. Con un ultimo strappo, guadagniamo Pedrovo, poche case raccolte attorno alla piazzetta del villaggio, ove vediamo solo alcuni uomini intenti a far legna ed a curare l'aia di casa. Alcune abitazioni sono dirute, qualche altra, invece, è ben ristrutturata.
Un giovane del luogo, cui ci rivolgiamo per ricevere delle informazioni sul prosieguo dell'anello, ci ammonisce dal farlo, in quanto l'altura sovrastante Pedrovo, la Sumka, è stata interessata da un importante incendio alcune estati fa, che ha cancellato il sentiero.La gita pare essere rovinata, tuttavia ci spingiamo lungo il tracciato, che dapprima nel bosco e poi su terreno aperto, conduce verso il Trstelj, l'altura più elevata del Carso di Komen.
Rientrati a Pedrovo, scendiamo verso Branik, raggiungendo il bel maniero - la cui visita però è interdetta da almeno 4 anni a causa di divergenze sulla sua gestione. Sebbene lo si visiti solo dall'esterno, la visione è assai suggestiva e sembra di vedere ancora d'intravedere tra le sue mura i cortigiani muoversi tra le sue mura.
Un gustoso piatto di gnocchi al terrano ci attende nella trattoria locale alla fine della gradevole seppure non eccezionale escursione.
Buon cammino!
Giuliano
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IEREP DI MERSINO ALTO (UD) 24/5/09
E' lunga ed un po' stancante l'ascesa alla più alta vetta del Cividalese, se intrapresa da questa frazione di Pulfero, alta sul corso del Natisone. Un sentiero antico, a tratti lastricato, conduce tra ubertosi boschi, dove regna il silenzio. Un tempo questo percorso era frequentato dai pastori e dagli allevatori, che portavano gli armenti sui prati in quota e dove oggi sopravvivono le piccole casere e le malghe, testimoni ed espressione di un'attività, che quassù è oramai pressoché scomparsa.
Poco sopra Ierep, piccola frazione ubicata in posizione assai panoramica sul ventaglio delle Valli, si diparte il sentiero, che tocca in breve la piccola e suggestiva Chiesa di San Lorenzo. Ci s'innesta, allora, sull'antico tracciato, che, specie nella prima parte, nonostante guadagni quota progressivamente, consente di ripararsi da una forte calura scoppiata quasi improvvisamente. Tocchiamo le malghe dai nomi di origine slovena ed è impossibile non pensare (o semplicemente immaginare) i pastori ed i loro greggi sostare tra queste doline e tra questi alberi, che un tempo verosimilmente non c'erano. Non incontriamo nessuno per un buon tratto, quasi sino al limitare del bosco, dove una famiglia s'accorge di aver sbagliato strada; camminiamo assieme, conversando e facciamo merenda assieme, come se ci conoscessimo da una vita: certe cose sono proprie della montagna! Raggiunta la Malga Zacela, molto ben restaurata, ci dividiamo: loro rientrano, mentre noi dobbiamo ancora salire, per raggiungere la vetta, che si scorge un po' lontana, in alto. Fa molto caldo, c'è afa. Raggiunto un piccolo crinale pieno di rigogliosi mughi, veniamo investiti da un'aria più fresca, rigenerante, che renderà meno affannosa la salita un po' più impegnativa dell'ultimo tratto. Giunti in vetta siamo ripagati dall'incomparabile panorama, sebbene un po' limitato dalla foschia; foschia, che in breve si tramuterà in cielo coperto e minaccioso. Non raggiungeremo Ierep senza essere sorpresi da un violento temporale, che c'inzupperà e c'"illuminerà" con dei frequenti lampi. Anche questa è la montagna!
A Pulfero, appena smesso di piovere, c'è una gustosa tavola ad aspettarci!
Giuliano
IEREP DI MERSINO ALTO (UD) 24/5/09
E' lunga ed un po' stancante l'ascesa alla più alta vetta del Cividalese, se intrapresa da questa frazione di Pulfero, alta sul corso del Natisone. Un sentiero antico, a tratti lastricato, conduce tra ubertosi boschi, dove regna il silenzio. Un tempo questo percorso era frequentato dai pastori e dagli allevatori, che portavano gli armenti sui prati in quota e dove oggi sopravvivono le piccole casere e le malghe, testimoni ed espressione di un'attività, che quassù è oramai pressoché scomparsa.
Poco sopra Ierep, piccola frazione ubicata in posizione assai panoramica sul ventaglio delle Valli, si diparte il sentiero, che tocca in breve la piccola e suggestiva Chiesa di San Lorenzo. Ci s'innesta, allora, sull'antico tracciato, che, specie nella prima parte, nonostante guadagni quota progressivamente, consente di ripararsi da una forte calura scoppiata quasi improvvisamente. Tocchiamo le malghe dai nomi di origine slovena ed è impossibile non pensare (o semplicemente immaginare) i pastori ed i loro greggi sostare tra queste doline e tra questi alberi, che un tempo verosimilmente non c'erano. Non incontriamo nessuno per un buon tratto, quasi sino al limitare del bosco, dove una famiglia s'accorge di aver sbagliato strada; camminiamo assieme, conversando e facciamo merenda assieme, come se ci conoscessimo da una vita: certe cose sono proprie della montagna! Raggiunta la Malga Zacela, molto ben restaurata, ci dividiamo: loro rientrano, mentre noi dobbiamo ancora salire, per raggiungere la vetta, che si scorge un po' lontana, in alto. Fa molto caldo, c'è afa. Raggiunto un piccolo crinale pieno di rigogliosi mughi, veniamo investiti da un'aria più fresca, rigenerante, che renderà meno affannosa la salita un po' più impegnativa dell'ultimo tratto. Giunti in vetta siamo ripagati dall'incomparabile panorama, sebbene un po' limitato dalla foschia; foschia, che in breve si tramuterà in cielo coperto e minaccioso. Non raggiungeremo Ierep senza essere sorpresi da un violento temporale, che c'inzupperà e c'"illuminerà" con dei frequenti lampi. Anche questa è la montagna!
A Pulfero, appena smesso di piovere, c'è una gustosa tavola ad aspettarci!
Giuliano
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BOCCHETTA SANT'ANTONIO - CANEBOLA (UDINE) 29/5/10
Ricorderemo quest'escursione per il terribile maltempo, che ci ha colti di ritorno dalla vetta, quando, in pochi minuti, l'intero sottobosco si è ricoperto di una spessa coltre di grandine, tanto da assumere l'aspetto tipicamente invernale! Sicuramente è stato il più brutto maltempo che mi ha colpito in oltre 30 anni di escursioni.
E' la fine di Maggio quando risaliamo la Pedemontana e ci portiamo nel territorio di Canebola, alti e lontani dal fondovalle. Gli spazi sono estesi, immensi, il verde della rigogliosa vegetazione arborea domina il paesaggio, intervallato dai vivaci colori delle fioriture primaverili, alcune delle quali davvero eccezionali. Il sentiero, che risale il Monte Joanaz è semplice e non troppo faticoso: permette d'inoltrarsi nel silenzioso bosco e di portarsi, più in alto, sulla rotabile militare in prossimità di estese praterie, da dove lo sguardo spazia sui monti del Cividalese. Non incontreremo nessuno durante l'intera escursione e ciò rende - se si vuole - ancora più bella l'uscita, avendo modo di conversare e commentare assieme ai compagni di gita le impressioni e le sensazioni, che l'ambiente ci suggerisce. Solo nell'ultimo tratto, al termine della strada militare, il tracciato si fa solo un po' più ripido e s'inoltra nel bosco, per raggiungere la piccola vetta, dove si trova un piccolo cippo e da dove, però, il panorama è assai limitato.
D'improvviso il cielo si fa plumbeo, soffia un vento sostenuto; decidiamo di ritornare sui nostri passi, ma le nuvole sono molto più veloci di noi e, a pochi minuti dalla vetta, inizia a piovere vieppiù insistentemente. Il temporale, decisamente violento, ormai è sopra le nostre teste. La pioggia, accompagnata da fulmini e tuoni, ben presto lascia spazio alla grandine, che cade con chicchi di ragguardevole dimensioni: quelli che ci colpiscono alle gambe ed alle braccia fanno davvero male. Il sentiero, a causa del dilavamento, si trasforma subitaneamente in una sorta di terreno ed i nostri passi affondano nell'acqua e, poi, nel manto bianchissimo della grandine. Cerchiamo di correre, ridiamo, gridiamo, sappiamo di potere ben poco difronte alla Natura! Raggiungeremo Canebola completamente inzuppati, le nostre protezioni non serviranno più, nuoteremo nelle calzature. Ma rientreremo un po' stanchi, affascinati e più "ricchi" per la diversa giornata passata nei boschi, che si sono tramutati in pochi istanti da fresco e profumato ricovero a luogo freddo e temuto.
A presto!
Giuliano.-
Ricorderemo quest'escursione per il terribile maltempo, che ci ha colti di ritorno dalla vetta, quando, in pochi minuti, l'intero sottobosco si è ricoperto di una spessa coltre di grandine, tanto da assumere l'aspetto tipicamente invernale! Sicuramente è stato il più brutto maltempo che mi ha colpito in oltre 30 anni di escursioni.
E' la fine di Maggio quando risaliamo la Pedemontana e ci portiamo nel territorio di Canebola, alti e lontani dal fondovalle. Gli spazi sono estesi, immensi, il verde della rigogliosa vegetazione arborea domina il paesaggio, intervallato dai vivaci colori delle fioriture primaverili, alcune delle quali davvero eccezionali. Il sentiero, che risale il Monte Joanaz è semplice e non troppo faticoso: permette d'inoltrarsi nel silenzioso bosco e di portarsi, più in alto, sulla rotabile militare in prossimità di estese praterie, da dove lo sguardo spazia sui monti del Cividalese. Non incontreremo nessuno durante l'intera escursione e ciò rende - se si vuole - ancora più bella l'uscita, avendo modo di conversare e commentare assieme ai compagni di gita le impressioni e le sensazioni, che l'ambiente ci suggerisce. Solo nell'ultimo tratto, al termine della strada militare, il tracciato si fa solo un po' più ripido e s'inoltra nel bosco, per raggiungere la piccola vetta, dove si trova un piccolo cippo e da dove, però, il panorama è assai limitato.
D'improvviso il cielo si fa plumbeo, soffia un vento sostenuto; decidiamo di ritornare sui nostri passi, ma le nuvole sono molto più veloci di noi e, a pochi minuti dalla vetta, inizia a piovere vieppiù insistentemente. Il temporale, decisamente violento, ormai è sopra le nostre teste. La pioggia, accompagnata da fulmini e tuoni, ben presto lascia spazio alla grandine, che cade con chicchi di ragguardevole dimensioni: quelli che ci colpiscono alle gambe ed alle braccia fanno davvero male. Il sentiero, a causa del dilavamento, si trasforma subitaneamente in una sorta di terreno ed i nostri passi affondano nell'acqua e, poi, nel manto bianchissimo della grandine. Cerchiamo di correre, ridiamo, gridiamo, sappiamo di potere ben poco difronte alla Natura! Raggiungeremo Canebola completamente inzuppati, le nostre protezioni non serviranno più, nuoteremo nelle calzature. Ma rientreremo un po' stanchi, affascinati e più "ricchi" per la diversa giornata passata nei boschi, che si sono tramutati in pochi istanti da fresco e profumato ricovero a luogo freddo e temuto.
A presto!
Giuliano.-
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DUINO (TRIESTE) 11/4/10
Non è da tantissimo tempo che lo stupendo maniero di Duino sia aperto alle visite del pubblico; sono sempre stato incuriosito dal sito ambientale ovvero dalla compresenza dei 2 castelli a breve distanza l'uno dall'altro. Ho percorso i sentieri dell'Ermada del ciglione innumerevoli volte e sempre ne ho ricavato delle entusiasmanti sensazioni, anche perchè sono affettivamente assai legato a questa porzione del Carso. E' una domenica soleggiata e ventosa con l'aria tersa e secca, quando raggiungiamo Duino, bel paese di villeggiatura - un tempo abitato dai pescatori -, sul cui promontorio si ergono i suoi castelli. Sono molto curioso e contento della visita, intento ad assaporarne tutti gli aspetti e le sfumature; varcato l'ingresso le sorprese non si faranno attendere e camminare sul ciglio del promontorio tra le vecchie mura, tra le rovine, nel piccolo e curatissimo parco, ovvero sostare sulle terrazze e sulla loggia prospiciente il mare ed esplorare il bunker della Seconda Guerra Mondiale costituiranno momenti che attendevo da tanto tempo e che mi ripagheranno abbondantemente.
Non sarò, però altrettanto meravigliato dagli interni del castello, molto sobri, seppure curati.
Il contesto ambientale e paesaggistico, oltre alle rilevanti memorie storiche legate al sito giocheranno un ruolo preminente nel far apprezzare quest'angolo del Carso, dove il Monte Ermada si getta nel mare, scenograficamente!
Buona visita!
Giuliano.-
Non è da tantissimo tempo che lo stupendo maniero di Duino sia aperto alle visite del pubblico; sono sempre stato incuriosito dal sito ambientale ovvero dalla compresenza dei 2 castelli a breve distanza l'uno dall'altro. Ho percorso i sentieri dell'Ermada del ciglione innumerevoli volte e sempre ne ho ricavato delle entusiasmanti sensazioni, anche perchè sono affettivamente assai legato a questa porzione del Carso. E' una domenica soleggiata e ventosa con l'aria tersa e secca, quando raggiungiamo Duino, bel paese di villeggiatura - un tempo abitato dai pescatori -, sul cui promontorio si ergono i suoi castelli. Sono molto curioso e contento della visita, intento ad assaporarne tutti gli aspetti e le sfumature; varcato l'ingresso le sorprese non si faranno attendere e camminare sul ciglio del promontorio tra le vecchie mura, tra le rovine, nel piccolo e curatissimo parco, ovvero sostare sulle terrazze e sulla loggia prospiciente il mare ed esplorare il bunker della Seconda Guerra Mondiale costituiranno momenti che attendevo da tanto tempo e che mi ripagheranno abbondantemente.
Non sarò, però altrettanto meravigliato dagli interni del castello, molto sobri, seppure curati.
Il contesto ambientale e paesaggistico, oltre alle rilevanti memorie storiche legate al sito giocheranno un ruolo preminente nel far apprezzare quest'angolo del Carso, dove il Monte Ermada si getta nel mare, scenograficamente!
Buona visita!
Giuliano.-
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SELLA NEVEA (UDINE) 12/9/10
E' una stupenda giornata di metà Settembre, quando raggiungiamo Sella Nevea, alla testata della Val Raccolana. Quassù, al limitare del bosco, si snoda un celebre e remunerativo anello, che consente di raggiungere le malghe del Montasio e di percorrere tutto il vasto altopiano calcareo ai piedi della famosa montagna, camminando in quota e godendo di mirabili panorami sul dirimpettaio massiccio del Canin e sull'incombente Montasio. L'escursione non presenta particolari difficoltà e si percorre dapprima un erto sentiero, quindi la pianeggiante carrareccia che collega le casere. Lungo il cammino, oltre ai begli abeti ed ai larici, si notano, poco dopo Casera Cregnedul, i ruderi di un'antica costruzione rurale, un bell'abbeveratoio e, presso Casera Parte di Mezzo, i ruderi delle trincee scavate durante la Prima Guerra Mondiale, a testimonianza che anche questo splendido altopiano non rimase indenne alla furia bellica. Una breve digressione consente di raggiungere il Rifugio Di Brazzà, da dove bello è il colpo d'occhio sulla parte occidentale dell'Altopiano del Montasio e sui suoi pascoli. Discendiamo nuovamente alla carrareccia e raggiungiamo la nuova Malga Montasio, dove ci rifocilliamo con le gustosissime pietanze friulane. E' quasi il tramonto: rientriamo a Sella Nevea, avendo veramente goduto della pace, della bellezza e della serenità dei luoghi attraversati. Questo è altresì il mio augurio per la vostra escursione: restare abbagliati, come noi, dalle incombenti pareti calcaree del massiccio del Montasio e dalle storie di un'attività casearia, che ha rischiato di scomparire per sempre e che è stata ripristinata nel 2009!
SELLA NEVEA (UDINE) 12/9/10
E' una stupenda giornata di metà Settembre, quando raggiungiamo Sella Nevea, alla testata della Val Raccolana. Quassù, al limitare del bosco, si snoda un celebre e remunerativo anello, che consente di raggiungere le malghe del Montasio e di percorrere tutto il vasto altopiano calcareo ai piedi della famosa montagna, camminando in quota e godendo di mirabili panorami sul dirimpettaio massiccio del Canin e sull'incombente Montasio. L'escursione non presenta particolari difficoltà e si percorre dapprima un erto sentiero, quindi la pianeggiante carrareccia che collega le casere. Lungo il cammino, oltre ai begli abeti ed ai larici, si notano, poco dopo Casera Cregnedul, i ruderi di un'antica costruzione rurale, un bell'abbeveratoio e, presso Casera Parte di Mezzo, i ruderi delle trincee scavate durante la Prima Guerra Mondiale, a testimonianza che anche questo splendido altopiano non rimase indenne alla furia bellica. Una breve digressione consente di raggiungere il Rifugio Di Brazzà, da dove bello è il colpo d'occhio sulla parte occidentale dell'Altopiano del Montasio e sui suoi pascoli. Discendiamo nuovamente alla carrareccia e raggiungiamo la nuova Malga Montasio, dove ci rifocilliamo con le gustosissime pietanze friulane. E' quasi il tramonto: rientriamo a Sella Nevea, avendo veramente goduto della pace, della bellezza e della serenità dei luoghi attraversati. Questo è altresì il mio augurio per la vostra escursione: restare abbagliati, come noi, dalle incombenti pareti calcaree del massiccio del Montasio e dalle storie di un'attività casearia, che ha rischiato di scomparire per sempre e che è stata ripristinata nel 2009!